Questo, dunque, anche l'ultimo Post pubblicato su questo Blog. Ogni altra pubblicazione, da oggi in poi, sarà realizzata sul nuovo Blog del MILITANZ riunito, all'indirizzo qui d'appresso riportato:
giovedì 4 giugno 2009
L'ULTIMO POST!
Questo, dunque, anche l'ultimo Post pubblicato su questo Blog. Ogni altra pubblicazione, da oggi in poi, sarà realizzata sul nuovo Blog del MILITANZ riunito, all'indirizzo qui d'appresso riportato:
IL NOSTRO DOCUMENTO DI FASE
pubblicato in GoogleDocs relativamente al nuovo MILITANZ Blog all'indirizzo
http://docs.google.com/View?id=dtm6hph_1fm4qg3gp
ORGANIZZAZIONE DI CLASSE E AUTONOMIA ORGANIZZATA
Napoli lì 1 giugno 2009
“ S'impone oggi con evidenza e urgenza, con possibilità oggettiva, il nodo della ricostruzione di un autentico sindacalismo di base e classe, a condizione che esso sia allargato a dimensione sociale e generale del conflitto. Di un soggetto di massa che sia totalmente autonomo (…) Che giochi, quindi, questa sua autonomia nella difesa delle condizioni materiali di vita e di lavoro del proletariato vecchio e nuovo, espandendone poteri e diritti in nome di un'alternativa reale di Sistema e di Potere.”
(estratto dal documento "Sindacalismo metropolitano e Sindacato di Classe", MILITANZ, marzo 2008)
Introduzione
Nel documento politico fondativo, indirizzo inaugurale dei Collettivi Politici MILITANZ CdP e UniCal, dello scorso febbraio 2008 scrivevamo: “Il concetto di autorganizzazione non può ridursi all’affermazione d’indipendenza dalle centrali partitiche o sindacali e all’estraneità generale rispetto alle logiche stesse della rappresentanza elettorale, per quanto sia del tutto evidente che tale affermazione rappresenti un punto di partenza imprescindibile". Un punto di partenza, appunto, dal quale però sviluppare una prassi politica quotidiana e di lungo periodo: dal tener viva l’essenza stessa di un collettivo, alla sua proiezione verso l’esterno, dalla capacità di una continua ridefinizione alla determinazione di una progettualità ad esso propria.” Questa proposizione, nel quadro più complessivo di detto documento che resta, ad ogni modo, la base progettuale strategica cui i Compagni e le Compagne MILITANZ continuano a far riferimento, assume oggi valore probante, dimostrativo, banco di prova della tenuta di linea e base della sua maturazione/aggiornamento alla luce dei cambiamenti e delle trasformazioni intercorse, nel frattempo, all’interno dello scenario politico e di movimento. Alla luce, cioè, dell’aggravarsi del disagio sociale nel Paese reale sì come morso e consumato dalla crisi capitalistica in atto; del progressivo distaccamento di settori sociali sempre più ampi e vessati da qualsivoglia ordine di rappresentanza reale sul fronte istituzionale che non sia quella di un sempre più solo presunto “meno peggio”; dell’innalzamento del livello di sussunzione dei sindacati concertativi nel quadro delle compatibilità di sistema in ordine alla più generale ridefinizione neo-corporativa e piduista dello Stato; della sostanziale perdita di identità e progettualità, ragione sociale e di classe, capacità organizzativa e di proiezione, della sinistra comunista, sempre più debole e divisa.
Perché, allora, un documento di fase a poco più di un anno dalla fondazione dei Collettivi Politici MILITANZ (CdP e UniCal) per l’Autorganizzazione sociale e del relativo progetto politico? Perché detti collettivi, ad oggi, si sintetizzano, sul piano organizzativo, quale Collettivo Politico unitario MILITANZ (CPM), centralizzando le loro risorse, il loro intervento, la loro stessa ragione sociale? Perché riteniamo s’imponga una radicale svolta di “maturazione” in ordine alla costruzione di segmenti di reale ricomposizione unitaria delle forze dell’antagonismo sociale che passi, necessariamente, per la dissoluzione delle “strutture di gruppo” e le relative logiche? Perché si palesa alla nostra evidenza il tema cruciale dell’organizzazione di classe, proprio in questa fase di fallimento strategico del riformismo e recrudescenza pesante e di profondità della destra più aggressiva e anticomunista? Quali sono i primi elementi di programma, le forme d’organizzazione, la “ricollocazione” necessaria che vanno determinandosi in ordine a un approfondimento del tema e della pratica del “sindacalismo metropolitano”, quale modo di riferimento e di raccordo tra gli elementi più coscienti ed avanzati, siano essi individuali o collettivi, a ché lavorino alla radicalizzazione delle lotte, all’estensione delle rivendicazioni, alla generalizzazione del conflitto? Può essere tutto questo, in definitiva, un primo ma sostanziale passo della ricostruzione di un blocco autonomo di classe, “sindacalmente” organizzato, a ché possa, esso stesso, determinarsi quale Partito, oltre le operazioni di ingegneria istituzionale, le alchimie geo-politiche, i cartelli meramente elettorali?
A poco più di un anno dalla fondazione del MILITANZ, i Compagni e le Compagne dei Collettivi, riuniti in assemblea congiunta permanente finalizzata all’attività di bilancio di quanto è stato fatto in quindici mesi di militanza, di come lo si è fatto, di quanto pur si poteva fare e non si è fatto, di come proseguire, in definitiva, nella Lotta e nel Lavoro, si sono interrogati sulla fase e sull’Organizzazione stessa.
Questo documento vuole essere esito e, insieme, report di detta attività di valutazione e bilancio, nonché base progettuale di nuovo e rinnovato indirizzo di fase del MILITANZ, ferma l’osservanza strategica delle sue ragioni fondanti e fondative così come la diretta continuità politica rispetto a quanto è stato fatto finora.
Lotta politica e Autorganizzazione
Lotta politica ed Autorganizzazione sono stati gli assi centrali, nerbi strategici, con i quali il Movimento – o comunque la parte più radicale e cosciente di esso, seppur variegata e multiforme – ha provato a riorganizzare le sue fila già da diversi anni or sono. Da quando, cioè, sempre più chiaro è risultato essere il ruolo dello Stato tutt’affatto che “mediatore dei conflitti sociali” nell’alveo di un sistema preteso democratico, quanto piuttosto bastione “legale”, strumento a servizio degli interessi della classe dominante, di volta in volta, rappresentati e difesi, a danno degli interessi generali, da un sistema d’alternanza borghese di governo, spurio, coatto. Stato borghese, dunque, utilizzato come vera e propria “arma” in una guerra di classe non dichiarata, resa impari, nello scontro, non tanto dallo spessore delle forze in campo, quanto, piuttosto, dalla progressiva compressione dei margini di agibilità politica, sindacale, democratica, a fronte di una progressiva involuzione autoritaria dei livelli istituzionali del Capitale opposti al Lavoro, nonché del relativo ma sostanziale processo di “fascistizzazione”, organizzativo e ideologico, delle Istituzioni “democratiche”. Le ricadute politiche in ordine al sì detto “sistema della rappresentanza” sono state rapide e devastanti, tutt’altro che concluse: su tutto il tracollo delle sinistre istituzionali, distrutte dalla perdita di autonomia e identità – e, quindi, di consenso – a causa di una miope e perdente strategia di “condizionamento a sinistra” dell’architrave istituzionale dello Stato, nonché la conseguente e pesante offensiva politica e ideologica di una destra radicale e di governo, sdoganata dal plebiscito di voti ottenuto alle Elezioni Politiche del 2008, fabbricante, a tutt’oggi, di “pubblica opinione”.
Lotta politica e Autorganizzazione, dunque, si presentavano contenuto e forma dell’autonomizzazione progressiva del corpo sociale collettivo del mondo del Lavoro-non-Lavoro dal quadro delle “compatibilità capitalistiche”. Contenuto e forma di rottura sistemica dal basso fatta di riappropriazione di liberi spazi di socialità/socializzazione, autonomia e rifiuto del lavoro proprio alla disciplina sociale governanti/governati (disciplina verticale, pretesa immobile, imposta dal Capitale) nonché acquisizione progressiva di proprietà collettiva socializzata; autorappresentazione degli interessi, materiali e di principio, delle nuove o rinnovate soggettività di classe seppur stratificate dall’attuale organizzazione/divisione globalizzata del Lavoro, nonché guadagnamento a ordine di indipendenza costruttiva e creativa nella dinamica di interazione con detta norma disciplinare imposta; Lotta e Lavoro, in definitiva; Lotta politica e Autorganizzazione, appunto.
Ma Lotta politica e Autorganizzazione, raramente hanno trovato punto di mediazione organizzativa reale che non fosse spontanea o d’occasione: al contrario, ogni tentativo organizzativo realizzato negli ultimi anni ha, volenti o nolenti, teso a scindere il piano di raccordo di elementi che tanto hanno senso solo nella misura in cui concepiti quali complementari, l’uno condizione (e, insieme, implicazione) dell’altro, vicendevolmente. Tale scissione, in pratica e principio, è, a nostro avviso, a fondamento di ciò che consideriamo essere errori di deviazionismo/opportunismo “di destra” o “di sinistra”, a seconda della predilezione dell’uno o dell’altro tra detti elementi.
Deviazionismo di destra e deviazionismo di sinistra
Il deviazionismo di destra ha prediletto la Lotta politica, schiacciando in essa ogni misura organizzativa messa in campo e isolandola, così, dai contenuti materiali di cui essa doveva/deve sostanziarsi. Accade così che, in nome di un funzionale e presunto “realismo”, l’unica categoria che risulta adottabile in ordine a detto opportunismo è quella della “praticabilità”: agli obiettivi di riappropriazione collettiva della proprietà sociale si sostituisce l’obiettivo di una “più equa” ridistribuzione di reddito; l’obiettivo di abolizione del lavoro salariato viene derogato alla tensione a forme di lavoro associato e cooperativo tutte iscritte, ad ogni modo, nella norma del sistema di Mercato e di profitto; agli obiettivi comunisti strategici e di fase si sostituisce, nuovamente, l’orizzonte gradualista della contrattazione para-istituzionale.
Diversamente, il deviazionismo di sinistra ha confusamente “esaltato” la tensione alla rottura tanto più declamata che messa in atto, la volontà di scontro spesso senza principi, il “riot” po’ estetizzante, un po’ “piazzaiolo” che massmediatizza il conflitto a fronte, però, di conseguenti rappresaglie e repressione reale dispiegate dallo Stato di contro Compagni e Compagne in lotta. Il cedimento sul terreno dell’iniziativa provocatoria dei livelli istituzionali del Capitale determina l’immediata perdita, da parte del Movimento, del rapporto di massa e di classe, oltre che, naturalmente, ogni capacità di saperlo interpretare.
Come dunque evidente, tanto il deviazionismo di destra che il deviazionismo di sinistra scivolano, in questo modo, in una pratica delegata, burocratica, da ceto politico, incapace di determinare un’opposizione che non sia testimoniale: i gruppi oggi extraparlamentari – tali per scelta o meno – in realtà hanno tutt’affatto che abbandonato la logica istituzionale, nella misura in cui sottoposti, nella definizione delle rispettive agende politiche, al calendario delle scadenze elettorali e, più generalmente, istituzionali, fosse pure per prenderne formalmente le distanze o contestarle. Le strutture spesso non si discostano dai modelli più classici della rappresentanza politica per delega, verticisticamente organizzate seppur oggi senza una base, chiuse nell’atteggiamento “parrocchiale” della logica del “+1” per il gruppo, giacché persuase di una crescita progressiva ad interim tutt’affatto che dimostratasi. Per di più, un certo avanguardismo che ognuno si auto-ascrive determina la situazione per cui si esasperi il livello di competitività tra i gruppi con il risultato, del resto ovvio, di ulteriore frazionamento in seno al Movimento; di una sorta di tenuta stagna della separatezza identitarista tra di loro; della definizione, nella “migliore” delle ipotesi, di “intergruppi”, inabili, però, a costruire qualsivoglia percorso di ricomposizione reale su basi politico-programmatiche e di prospettiva generale seria e condivisa. Condizione – sappiamo – indispensabile e fondante di un’Alternativa di Sistema e di Potere che abbia un senso non solo nella generica petizione di principio, nel formale attestato di valore continuamente declamato.
Organizzazione di Classe e Avanguardia reale
Oggi migliaia di Compagni e di Compagne sembrano essersi “rassegnati” ad una pratica ed una logica minoritaria e “di gruppo” in senso stretto.
Sappiamo che la “sola” crisi del Capitale, sebbene strutturale quale condizione oggettiva storicamente definitasi, non è sufficiente a determinare il suo collasso, la sua abolizione, il suo superamento. Le suggestioni altermondiste – escatologiche, attendiste, indeterminate quali furono – tanto proprie a larga parte del Movimento fino a qualche anno fa, di fatto non convincono più nessuno, ragion per cui il tema su cui provare la nostra maturazione di militanti anticapitalisti, antimperialisti, antifascisti, altro non può essere che il tema dell’elemento soggettivo dialetticamente posto rispetto a quello oggettivo della crisi: il tema della soggettività alternativa di un nuovo blocco storico-sociale antagonista. Il tema, in definitiva, dell’Organizzazione di Classe.
Già a partire dagli anni Settanta il Movimento di allora si interrogava sulle sue derive “gruppettare”, tenuto conto che, diversamente, solo pochi anni prima, in pieni anni Sessanta, una stretta avanguardia di operai politicizzati su base rivoluzionaria era riuscita a guadagnarsi parte importante della direzione del proletariato di fabbrica, imprimendo, con l’autonomia operaia e il rifiuto del lavoro, un salto di qualità politico ed organizzativo in seno alla Classe tutta, giacché ad essa legata, di essa parte integrante.
In effetti, a ben vedere, solo una direzione immediata, diretta, autocosciente, ha fatto sì che, storicamente, la Classe, cardine del blocco sociale antagonista, autorappresentando i propri interessi, autoregolando il suo corpo sociale collettivo a fronte della norma disciplinare capitalistica, autorganizzando la propria composizione di Lotta e di Lavoro, assumesse progressiva coscienza di massa del potere operaio, al punto da tradurla in forza soggettiva di iniziativa di avanguardia; il rifiuto della contrattazione si trasformava, allora, in comportamento di (ri)appropriazione di classe; la resistenza a oltranza contro gli attacchi repressivi dei padroni, in capacità di reggere e poi dirigere i primi momenti di controffensiva armata anticapitalistica; il livello raggiunto nell’autonomia operaia, in facoltà di sostenere, per anni, il livello di scontro con lo Stato borghese, a tratti determinandone i tempi e modi.
Allo stesso modo oggi, solo il recupero dei margini di autonomizzazione consapevole degli interessi di classe rispetto a quelli classisti e padronali sarebbe in grado di ricongiungere, nella loro giusta unità dialettica, nel loro rapporto di unità e articolazione, i termini di Lotta politica e Autorganizzazione. Del resto è proprio questo il compito, quale passaggio strategico di fase, di un’avanguardia reale, tale solo se in grado di tenere insieme, legati col filo rosso dell’emancipazione e del riscatto, le rivendicazioni dell’immediato (casa, lavoro, diritti sociali in genere) alla prospettiva strategica della messa in discussione radicale dei paradigmi stessi delle società capitalistiche. Un’avanguardia determinata e riconosciuta non certo nella misura in cui gruppo compatto di presunti “rivoluzionari di professione”, alieni dal lavoro, attivi in nome e per conto della Classe ma ad essa estranei. Avanguardia effettivamente tale, invece, solo se determinata nel raccordo unitario e dialettico tra quadri militanti attivi in settori e territori ritenuti di riferimento, capace di elevare il quadro delle rivendicazioni e delle battaglie strettamente sindacali e tradunioniste sul piano più alto degli obiettivi generali di (ri)appropriazione comunista, in ordine a uno scontro di classe di lungo periodo. In grado, cioè, di elevare le faville di coscienza politica accese negli operai, nei lavoratori, nei disoccupati, negli studenti, negli immigrati dalla lotta economica corrente, in nuova o rinnovata coscienza di classe, coscienza politica apertamente anticapitalista in forza al tema ed alla pratica della trasformazione rivoluzionaria degli attuali assetti proprietari e di potere, del sistema politico tutto che li incarna e li protegge. Un’avanguardia, insomma, capace di imprimere quel salto qualitativo, fondamentale ed irreversibile, ai comportamenti del Lavoro ed alla Lotta, sì come proprio al passaggio da “classe in sé”, che esiste in quanto tale, a “classe per sé”, ovvero di se stessa cosciente, autoevidente.
Il processo di riaggregazione dell’avanguardia autonoma della Classe sappiamo aver bisogno di momenti significativi di scomposizione e ricomposizione dei soggetti esistenti, ma, soprattutto, “ha bisogno dell'intervento attivo dei settori più combattivi del proletariato [vecchio e nuovo che sia, ndr.] e del lavoro dipendente, ma anche del non-lavoro indotto o del più generale precariato sociale. L'idea stessa di una sorta di “sindacato metropolitano” che ragguagli e coordini le battaglie sociali generalmente intese investendo, in termini di nuova aggregazione e partecipazione diretta e attiva, su quelle soggettività sociali e collettive che costituiscono, ancora ed in maniera rinnovata, l'ossatura delle lotte e delle manifestazioni come legittimi rappresentanti degli interessi di classe”[1].
Siamo ben consapevoli della complessità della situazione. Consapevoli e persuasi che lavorare alla (ri)determinazione di un’avanguardia organizzata e realmente autonoma per un sindacato metropolitano incardinato nell’istanza di classe non significa necessariamente la nascita di una nuova sigla – l’ennesima! – né, tanto meno, la semplice somma aritmetica di alcune di quelle esistenti. Si tratta invece di un processo politico e di lotta vero e proprio. Di lotta proprio perché politico, politico proprio perché di lotta. E ci rendiamo anche conto delle questioni teoriche e pratiche ancora insolute.
Indispensabile, in tal senso, diventa la proposta pratica ed il ruolo dei comunisti, da recuperarsi nella loro facoltà di saper essere esempi militanti dell’unità triadica e dialettica tra prassi-teoria-prassi. Spingere dunque il livello organizzativo in ordine alla definizione di una linea progressivamente comune di Lotta e di Lavoro, di costruzione di un programma che tenga insieme elementi rivendicativi di transizione all’orizzonte generale degli obiettivi di (ri)appropriazione strategica di lungo periodo, si presenta come priorità assoluta del lavoro di massa, da realizzare, verificare quotidianamente, tanto all’interno delle conferenze permanenti delle lavoratrici e dei lavoratori, tanto in quelle esperienze di resistenza e riaggregazione sociale autorganizzata proprie alle specificità di settore e territorio. È in questa prospettiva di lavoro di lungo periodo che assume senso non particolaristico o meramente rivendicazionista la “liberazione” di spazi sociali autogestiti: le consulte permanenti si danno a noi, dunque, come luogo di lavoro politico diretto a ché possano, esse stesse, diventare punto di riferimento e di raccordo tra elementi coscienti e combattivi che lavorino alla radicalizzazione delle lotte, all'estensione delle rivendicazioni, alla generalizzazione del conflitto.
Partire, così, dall'elaborazione di una strategia di intervento in dette sedi di lavoro politico, sviluppare in esse linea di massa a partire da un’iniziativa d’avanguardia costante e costantemente attenta ai rapporti di massa che la qualificano e sostanziano, sostenerne la mobilitazione articolata intorno ad un progetto condiviso di trasformazione sociale, diventa un primo ma considerevole passo in direzione della ricostruzione di un blocco autonomo di classe “sindacalmente” organizzato. Un blocco autonomo di classe in grado di esprimere, in misura non delegata, ma diretta e attiva, quell’avanguardia reale, combattiva, autocosciente, di cui stiamo argomentando.
L’avanguardia di questo tipo, nella qualità di direzione immediata, consapevole dell’inconciliabilità, della non-coincidenza insuperabile degli interessi di classe, si prova innanzitutto sul terreno del mantenimento dei livelli di potere raggiunti nel rapporto tra Lavoro e Capitale e, di conseguenza, nella loro manifestazione sovrastrutturale e ideologica data nel rapporto giuridico, politico, istituzionale tra governati e governanti. Detti livelli di potere si esercitano nella contrattazione nazionale del Lavoro; nel rifiuto di tutte le forme incentivanti e nocive del Lavoro; nella diserzione da ogni tentativo di controllo istituzionale dell’autonomia di classe; nella sottrazione cosciente e praticata da qualsiasi forma di concertazione e collaborazionismo interclassista; nella Lotta contro la crisi, lo sviluppo e le sue logiche legate al Profitto e al Capitale, di contro le regole stesse del comando capitalistico.
La direzione autonoma di classe, pur tuttavia, non può assestarsi a mero mantenimento – fosse pure incremento! – di detti livelli di potere nel rapporto Lavoro/Capitale. Se così fosse, l’Organizzazione di Classe risulterebbe irrimediabilmente legata e compromessa all’andamento variabile del Capitale, seppur tenendo ferma l’analisi sulla sua crisi strutturale. L’Organizzazione sarebbe dipendente, suo malgrado, dalle varie e diverse congiunture economiche di fase; bloccata nel ruolo, filosoficamente detto, di antitesi funzionale ad una tesi posta che, in quanto tale, continuerebbe a marcar primato.
Cruciale allora, come risulta evidente, si presenta la questione relativa al rapporto Classe-Partito. I livelli di potere guadagnati nei settori sociali di riferimento e nella società dall’Autonomia storicamente detta sono stati pesantemente compromessi dal nuovo ordine di parcellizzazione del Lavoro-non-Lavoro. Il lavoratore e l’aspirante lavoratore, gli immigrati già propri ad una sorta di “esercito di riserva” di manodopera a basso costo, gli studenti sottoposti alla condizione di mera forza-lavoro funzionale in via di formazione, sono ridotti a semplici segmenti atomizzati di lavoro ricombinante a chiamata diretta: strumentali, volenti o nolenti, al mantenimento dei livelli di profitto propri alle esigenze di classi dominanti e del Mercato; la coscienza di massa della centralità strategica di classe e della relativa forza soggettiva viene disarticolata in ordine alla nuova divisione internazionale del lavoro; il livello di controffensiva operaia sì come storicamente determinatasi, fiaccato prima, distrutto poi, da delocalizzazione produttiva, precarizzazione esistenziale, repressione di Stato e padroni.
Nel tempo della fine delle rappresentanze reali degli interessi di classe sul fronte istituzionale, si impone oggi la necessità della maturazione, del rinnovo, della fase propria alla ridefinizione del rapporto Classe-Partito, a ché sia percorsa interamente dalle forze di massa autonome del blocco sociale antagonista. Lavoro-non-Lavoro e Capitale, Classe e Partito, (ri)appropriazione e organizzazione, autonomia e autorganizzazione: queste le questioni sulle quali dovrà cimentarsi una direzione, che voglia esser responsabile e capace, autonoma e di classe.
Il legame dialettico – si diceva unitario e articolato – dei termini su descritti, può esser dominato e retto solo se tradotto dalla dimensione meramente ideologica, nella quale tanto l’esperienza recente dei gruppi che quella dei partiti autocandidatisi al rango di “veri” partiti comunisti(?!) l’hanno cacciato, a quella più direttamente organizzativa, praticata. Reale, in sostanza. Ed è per questo che la moltiplicazione dei conflitti particolari spontanei (vertenziali, di settore e territorio) tanto potrà assumere profilo di sviluppo più generale (generalizzazione) del conflitto sociale solo nella misura in cui “centralizzato” dall’azione di coordinamento e di raccordo tra le aree di Movimento più coscienti ed avanzate. Avanzate solo se scevre dalle vezzosità radical-intellettuali di presunti primati aristocratici e puristi di interpretazione ideologica, così come da quelle piccolo-borghesi di “diritto proprietario” sui settori dove insistono; coscienti solo se consapevoli della complessità della posta in gioco a fronte del mero gioco della lotta e del suo gusto estetizzante e modaiolo.
La fusione materiale del potenziale di direzione delle aree d’avanguardia, centralizzato come sopra, può darsi solo dentro un blocco autonomo di classe, cuore nevralgico, pulsante, del detto blocco sociale antagonista. Può darsi, in definitiva, solo alla sua base.
Classe, Partito, direzione, centralizzazione, sono tutt’affatto che miti, chimere perse nell’oblio della Storia o, d’altro canto, mere aspirazioni di un futuro idealizzato. E non sono certo la soluzione delegata del problema della direzione collettiva del Movimento e, in generale, della Lotta. Essi sono, invece, il processo della Lotta in quanto tale, il suo incedere quotidiano tra alti e bassi e la sua ciclicità, il difficile cammino, giorno dopo giorno vissuto e convissuto da migliaia di Compagni e di Compagne, della formazione organizzativa e del programma. Sono i nodi irrinunciabili da sciogliere, al fine di poter incardinare, sulle soluzioni derivate da quegli stessi nodi sciolti, il principio dell’Organizzazione intesa quale esigenza della Classe, realmente posta, effettivamente realizzata.
Il Partito-Classe
Ora, sappiamo che il problema non è meramente teorico o formale. Non si tratta, dunque, dell’argomentare il corretto congiungimento formale della pratica dell’autonomia con i movimenti della sua avanguardia. Si tratta, invece, di cogliere il nodo e la potenzialità, tutta iscritta nella fase, per cui la Classe, seppur scomposta e disarticolata, può essa stessa rendersi Partito centralizzando i suoi movimenti. La questione del rapporto Classe-Partito si risolve dunque nella determinazione del Partito-Classe. Determinazione anticipabile solo attraverso una dinamica di una centralizzazione di base, pratica, praticata, affatto che ideologica, attuata, dunque, nella concentrazione più larga possibile in una forza di massa organizzata in blocco, “sindacalmente” pronta.
La centralizzazione, qui così intesa, si determina quale forza espansiva e, insieme, atto di volontà collettiva di “ricollocazione” militante di Movimento, nella prospettiva di recupero di un terreno di rapporto con la Classe e ridefinizione, in essa, di un impianto organizzato su base non-concertativa, immediatamente sindacale; si verifica quale valutazione, dispiegata nella prassi, che non stempera il percorso di ricomposizione unitaria – come invece avviene nei “gruppi stagni” – ma raccoglie per esaltare, raggruppa per rinforzare detta formazione organizzativa e di programma. A ché le mere “alleanze tattiche”, spontanee e d’occasione, tante volte praticate o i raccordi strettamente funzionali possano elevarsi a progetto strategicamente condiviso; l’unità di lotta possa addivenire a costruzione progressiva di una politica di fronte; gli “intergruppi” autodeterminarsi quali Movimento organizzato centralizzato dalla Classe che solo così si fa Partito.
Crediamo che detta centralizzazione sia tutt’affatto che una generica petizione di principio o una mera aspirazione declamata negli intenti. Diversamente essa si da a noi quale fusione, praticata già a partire dalle scelte di riorganizzazione che come, MILITANZ, andremo ad operare, tra la nostra volontà collettiva di non essere più “gruppo” e l’elemento di valutazione circa la necessità di ricondursi ad un alveo più strettamente di classe e sindacale; tra l’elemento soggettivo da noi stessi posto (in ordine alla nostra piccola ma sostanziale categoria del possibile) e l’elemento oggettivo della ricomposizione necessaria per resistere alla crisi e ad essa reagire. Crediamo che tale fusione sia in grado di battere sul campo e svincolarsi dall’andamento ciclico delle lotte legato alla concertazione tra sindacati collaborazionisti e lor-padroni. Crediamo, altresì, che sia condizione necessaria e indispensabile per riprendere ed imporre iniziativa di controffensiva al Capitale.
Ciò nondimeno detta centralizzazione si presenta, in tal senso, fatto essenzialmente reale. Impiantata, cioè, nel vivo dei rapporti materiali di vita e d’esistenza della Classe, laddove mediazione teorica, misura organizzativa, articolazione pratica e decisionale non può esser delegata a formazione alcuna che non sia quella ad essa più propria, adeguata alla sua composizione politica, radicata nell’esperienza delle sue lotte, emblema dei livelli di coscienza e di potere raggiunto. In conclusione sul punto, se Partito di Classe nascerà, esso nascerà solo in ordine alla diretta capacità del mondo del Lavoro-non-Lavoro di (ri)appropriarsi innanzitutto della propria Organizzazione.
L’Autonomia Organizzata
Le prime esperienze di autorganizzazione sociale (consulte delle lavoratrici e dei lavoratori, comunità resistenti, comitati popolari, movimenti di scopo, etc.) sono ormai già date, in questa fase, dal tasso fisiologico di conflitto sociale che, pur senza detonazione indotta, si dispiega nel Paese. Così come ormai già più che decennale è il lavoro sindacale autonomo su basi non-concertative e conflittuali. Dei passi di organizzazione nazionale o, più immediatamente, di raccordo tra queste esperienze autonome ed autorganizzate sono stati fatti, sono ancora in corso. Il Collettivo Politico MILITANZ (CPM) considera tali tentativi un’indicazione valida e un indispensabile presupposto organizzativo finalizzato alla generalizzazione del conflitto, di contro ogni professione praticata di minoritarismo, settarismo, frazionismo; di contro ogni concezione strettamente localistica, particolaristica o meramente vertenziale della Lotta; di contro la logica estetizzante del “movimento per il movimento”.
Riconosce, dunque, nelle precondizioni poste dell’autonomia organizzata la sua sede di lavoro politico con potenziale proiezione di massa e impianto di classe. Ritiene, altresì, che la presenza di quadri militanti attivi tanto in sede alle esperienze dette di autorganizzazione sociale e di settore, quanto, soprattutto, nel lavoro sindacale di autonomizzazione degli interessi e delle relative istanze di classe, debba diventare una costante del loro proprio modus operandi. Debba, in tal senso, lavorare a una fusione progressiva di intenti, pratiche, obiettivi, intensificando il lavoro politico e organizzativo in forza della parola d’ordine della direzione autonoma di classe sul Movimento.
Nell’attuale fase di discontinuità del Movimento, di sua intrinseca debolezza, di scomposizione e temporaneo reflusso, si dà la possibilità concreta di allargare la concezione e la pratica dell’egemonia politica di classe sul Movimento stesso: va sviluppata, nell’immediato, una vera e propria campagna per l’affermazione della direzione autonoma di classe, di contro ogni delega organizzativa “esternalizzata”, ma anche contro ogni fuga soggettivista o abbandono spontaneista.
Intendiamo, dunque, l’Organizzazione di Classe essenzialmente come organizzazione dell'Organizzazione. Così, se Lotta politica ed Autorganizzazione sono la stessa cosa, allora il processo di costruzione del Partito di Classe è già tutto interamente iscritto nel processo di lotte, nel loro incedere, nelle scadenze progressive delle esperienze di autonomia di base e di classe.
A noi sta oggi il compito, nel quadro di una “ricollocazione” immediatamente sindacale e metropolitana, riaprire la lotta per l’Organizzazione. Oggi soprattutto, perché già fallimentare si presenta ogni tentativo di stabilizzazione riformistica del consenso di classe, giacché, altrettanto chiaramente, si palesa il dato di fatto che lo sfruttamento del consenso di massa piega vertiginosamente il Paese tutto a destra. Il problema non è, dunque, quello di “accertare” la sconfitta storica del riformismo, peraltro ormai evidente in sé, quanto piuttosto lavorare, nella temperie sotto-culturale determinata dalla destra qualunquista e di governo. Lavorare per una progressiva permeabilità del blocco storico di riferimento alle istanze della trasformazione rivoluzionaria. Lavorare a ché esso possa tornare ad essere coscientemente antagonista. In definitiva è questo l’obiettivo che ci interessa perseguire. Il nostro sforzo organizzativo è tutto teso all’esercizio continuo di autorganizzazione nei luoghi di lavoro e del conflitto, nella società tutta.
La parzialità delle lotte spontanee che vanno aprendosi, contro gli effetti di scarico sociale della crisi capitalistica – lotte contro le presunte “riforme” di Scuola e Università, contro le ricadute repressive dell’inflazione sul potere d’acquisto, per i rinnovi contrattuali, lotte contro la precarietà, etc. – impegna tutti noi a svilupparle su un terreno di maggiore radicalità e un livello organizzativo più alto di quello oggi tardamente dispiegato. Lotta politica e Autorganizzazione sono tutt'uno, allora, perché battagliare e sviluppare i termini dell’Organizzazione autonoma di Classe è tutt'uno. Questo ci porta a considerare la necessità, nonché l’urgenza, di dotarsi di riferimenti nazionalmente organizzati a ché il più possibile unitaria possa essere la capacità di blocco e di tenuta di un fronte di classe antagonista al Capitale, disciplinato nella coscienza di se stesso, strutturato nella sua Organizzazione, omogeneizzato nella capacità d’intervento, di risposta, di controffensiva,.
Nel tempo dell’irrimediabile separatezza materiale delle classi; nel tempo della indotta confusione ideologica che trova sguarnito il fronte di classe in conseguenza della smobilitazione unilaterale perpetrata negli anni trascorsi, sotto la direzione collaborazionista ed arrendevole delle sinistre istituzionali; nel tempo del fallimento dell’approccio “di gruppo” al Movimento, noi, MILITANZ, Compagne e Compagni di Popolo e Lavoro, abbiamo svolto le nostre considerazioni di fase. Ci accingiamo a seguire ciò che consideriamo il nostro processo di maturazione e, in tal senso, operiamo le nostre scelte. Scegliamo, dunque, l’Autonomia organizzata.
In un approccio tanto più politico, come nei termini su esposti, lavoriamo alla determinazione di un blocco autonomo di classe sindacalmente organizzato, per sé stesso cosciente, unico in grado di esprimere, direttamente dai suoi ranghi, un’avanguardia consapevole e cosciente del suo ruolo: il ruolo di reparto avanzato della Classe tutta, il ruolo di condurre a nuova conquista e poi vittoria il blocco storico-sociale antagonista, il ruolo proprio al Partito organico alla Classe.
Qui non c’è minoritarismo, non sussiste più il gioco “a chi è più comunista di chi”, non esistono più maggioranze dirigiste né minoranze settarie. La nostra scelta ricade tutta e per intero nel lavoro politico di massa, riconoscendo rapporti di comando e disciplina solo ad una direzione autonoma di classe da ricomporre e organizzare.
MILITANZ esce dal gruppo, dunque. Ne rifiuta logica e struttura. Lo facciamo per essere nel movimento reale in tempi, modi e forme proprie all’Autonomia organizzata in seno alla Classe, come detto. Lo facciamo per essere noi stessi Autonomia organizzata, di essa parte integrante e attiva. Fino alla Vittoria.
Collettivo Politico MILITANZ (CPM)
militanz-cpm.blogspot.com
militanz.cpm@gmail.com
lunedì 25 maggio 2009
CONTRO IL G8 DELLA CRISI, CON LE POPOLAZIONI D’ABRUZZO
Così, mentre decine di migliaia di persone che hanno perso tutto vivono in veri e propri campi profughi, si approvano decreti per la ricostruzione senza nessuna copertura finanziaria, si prepara il sacco
ambientali e sociali.
Di fronte a queste squallide speculazioni politico-elettorali, i movimenti sociali e le realtà di base campane sanno da che parte stare:
solidali con le popolazioni dell’Abruzzo- con chi ha perso la casa, il lavoro- e fermamente schierati contro il G8 e le politiche securitarie, di precarizzazione, di sfruttamento che impone ovunque nel mondo.
Le verità sul terremoto in Abruzzo tra mancata prevenzione, militarizzazione e rischi di speculazione
ASSEMBLEA PUBBLICA
con attivisti provenienti dall’Abruzzo
presso
Istituto Universitario Orientale
Palazzo Giusso
a seguire h21.00
SERATA SOLIDARIETA'
con musica, proiezioni video e materiali informativi
presso
Centro Sociale Banchi Nuovi
in solidarietà con le popolazioni dell’Abruzzo
martedì 19 maggio 2009
domenica 3 maggio 2009
2 MAGGIO..
Man mano che si avvicinava il 1° Maggio dell’anno successivo, il 1890, le organizzazioni dei lavoratori intensificavano l'opera di sensibilizzazione sul significato di quell'appuntamento, che già riecheggiava la grande manifestazione operaia di Chigago del 1886 e la battaglia internazionale per la riduzione ad 8 ore della giornata lavorativa.
"Lavoratori - si leggeva in un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890 - ricordatevi il 1 maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l'Internazionale!".
Da quella data, nonostante l’atteggiamento apertamente repressivo di monarchie e governi borghesi autoritari, nonostante la sospensione formale della giornata di festa durante i regimi fascisti, nonostante la strisciante ostilità volta al sabotaggio da parte delle forze antioperaie “collaborazioniste” col Capitale, il 1° Maggio confermerà, anno dopo anno la sua straordinaria presa, la sua capacità di mobilitazione generale, l’intrinseca solidarietà di classe internazionale. Il 1° Maggio divenne così la “Festa delle lavoratrici e dei lavoratori di tutti i Paesi”, la “Festa del Lavoro”, permanentemente organizzata, anno dopo anno.
"Il proletariato internazionale - affermava compiaciuto Fiedrich Engels - passa in rivista [in questa giornata, ndr.] le sue forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito. E lo spettacolo di questa giornata aprirà gli occhi ai capitalisti".
Poi, come ogni anno, anno dopo anno, venne il 2 maggio..
sabato 25 aprile 2009
VIVIAMO. SIAMO PARTIGIANI.
Cosa aspettarsi di peggio? Un nuovo fascismo, quale involuzione autoritaria delle Istituzioni repubblicane, sdoganato dalle tentazioni golpiste del Berlusconi piduista o il perduto antifascismo di chi si pente degli “eccessi” del passato, chiede scusa e, per farsi accettare nei circoli dei burocrati di Palazzo ad oggi fabbricanti universali di pubblica opinione, abbandona ogni vigilanza e livello di difesa delle Istituzioni democratiche faticosamente conquistate da chi ha lottato per la Libertà?
Ad ogni modo risulta già presente e chiaro, quale indotta “amnesia della Repubblica”, un uso “politico” della Storia tutto teso allo scopo di minare le fondamenta antifasciste della Repubblica Italiana per poter così manomettere la Costituzione che ne è alla base e portare a compimento il disegno, già in itinere da anni, di ridefinizione neo-corporativa dello Stato borghese. Costituzione che, con il suo portato e la sua storia, rappresenta ancora oggi effettivo ostacolo alla riorganizzazione dei rapporti economico-sociali di sfruttamento nel quadro di un capitalismo in odore di svolta autoritaria, repressiva, regressiva. Operazione, dunque, di rovesciamento della verità storica quale atto di “pacificazione coatta” funzionale alla determinazione innaturale di una “memoria condivisa” del tutto appannaggio di una classe dominante “bipartisan” (centrodestra e centrosinistra) il cui revisionismo strumentale fittiziamente contrapposto determina la rispettiva convergenza d’interessi nel gestire il processo di forzata disciplinizzazione sociale aliena e impermeabile a qualsiasi istanza di emancipazione reale delle classi subalterne. Nesso tra le due forme di revisionismo, in definitiva, accomunate dalla stessa ansia di stabilizzazione extra-democratica del Sistema, del Potere.
Intanto, la resa ideologica incondizionata degli anni Novanta – come propria al teorema della “morte delle ideologie” assunto dai teorici dell’attuale revisionismo storico (Renzo de Felice, Francois Furet, etc.) e “magistralmente” condotto, tanto dai fautori della Bolognina storica che da voltagabbana dell’ultim’ora, a danno delle speranze di difesa, emancipazione e di riscatto di milioni di lavoratori e i loro figli – ci trova oggi vittime subalterne del monopolio esclusivo di un’ideologia unica, totalizzata, totalizzante: l’ideologia della destra, indubbiamente più congeniale al mantenimento dell’ordine sociale esistente e la relativa separatezza di classe. Rampantismo, fittizio “autodafé”, individualismo esasperante, razzismo, sessismo sono gli elementi di una dittatura mediatica che orienta le masse all’occorrenza, le determina, le sopisce: schiere di venditori marcati Pubblitalia, rabbonitori di Mediaset, starlette della politica e rassicuranti sorrisi sempre in scena preparano il terreno della “rinnovata” propaganda cripto-fascista, i suoi contenuti eversivi, le sue degenerazioni più nefaste. E allora pieno è il sostegno politico ad ogni sforzo militare e imperialista, esplicito l’odio verso gli immigrati considerati gente di “popoli inferiori”, emblematico il recupero dell’integralismo cattolico più retrivo e oscurantista, evidente la demonizzazione di qualsivoglia attività sindacale e delle lotte sociali, “normale” l’uso della demagogia populista, ovvio – ahinoi! – lo sdoganamento di gruppi neonazisti pesantemente ideologizzati, coinvolti, quali potenziale ma già effettivo “braccio armato”, nelle trame eversive del Governo ed eredi tutt’affatto che pentiti della peggiore deriva mussoliniana.
Oggi, 25 aprile 2009, siamo nuovamente in piazza, ad osservare la Memoria della Lotta, a guadagnarci ancora ad un futuro di nuova Conquista e di Vittoria.
Noi, donne e uomini di Popolo e coscienza, per Essa ci battiamo, ci batteremo ancora. Giacché viviamo. Siamo partigiani. Odiamo chi non parteggia.
mercoledì 8 aprile 2009
PARA PONZI PONZI PO'...!
E allora si parte con i “Piani di Salvataggio”! Banche (ri)foraggiate dallo Stato, immissione coatta sul mercato di mezzi di pagamento seppur non più adeguatamente coperti in termini di riserve auree, petrolifere o valute pregiate. Rincorsa a titoli tecnologici che promanano non già dallo sviluppo del capitalismo quanto, piuttosto, dalla sua stessa crisi, nella misura in cui emblemi di un Capitale che non riuscendo più a valorizzare se stesso, si proietta, sconfitto, nella dimensione transazionale, progressivamente finanziarizzata, totalmente fittizia. L’Inflazione ringrazia. Il potere d’acquisto delle famiglie si dimezza.
In questo senso, i “Piani di Salvataggio” tanto sbandierati da governi che si fregiano di affrontare “responsabilmente” la crisi, si sostanziano di veicoli d’investimento sì complessi che – guarda caso! – potevano essere creati soltanto come indecifrabili codici alfanumerici informatici. Esattamente, cioè, quali titoli in linea perfetta con detta irrazionale finanziarizzazione speculativa del Capitale! Ragion per cui, fermi i detti modelli previsionali, quasi nessuno – nemmeno a Wall Street, verrebbe da credere – riesce a capire che cosa essi rappresentino. In realtà, la giungla alfabetica di tali titoli azionari a dir poco sofisticati – i vari Cdo, Cds, gli Mbs, i Siv, etc. – sembrano poggiarsi su una ricetta che, per un certo tempo, fu nota alle cronache giudiziarie americane: gli algoritmi di Charles Ponzi (1882-1949), truffatore americano di origini italiane, che escogitò un metodo per fare soldi rapidamente e dal nulla. Architettati per essere matematicamente indecifrabili se non da computer e calcolatori complessi, essi, gli algoritmi, si autorappresentavano in una sorta di universo parallelo di costruzione di modelli matematici nominali, alternativi e sganciati dal mondo reale, dal piano dell’Economia reale. Il Grande Salvataggio marcato USA sembra esser proprio questo o, comunque, non sembra prescinderne. Un salvataggio “tossico”. Non sarà che i sì detti “titoli tossici” sono proprio quei titoli azionari indecifrabili il cui valore di scambio effettivo non potrà esser compreso se non ricercandolo sotto la soglia dello zero?.. Sarà questo il “segreto” dei misteriosi “piani salva-banche”?..
Del resto, lo “smaltimento” reale di detti investimenti tossici determinerebbe, rapidamente, troppo rapidamente, una reazione a catena che annienterebbe gli strumenti finanziari derivati che trasferiscono l'esposizione creditizia di prodotti a reddito fisso tra le parti, facendo terra bruciata dell’intero panorama bancario e carta straccia di fondi pensione e conto correnti! E i capitalisti, sì come ogni buon agente speculatore del mercato, ben conoscono il rischio di Credit Default Swap.. Se le Banche Centrali dei vari Paesi o le Autorità preposte a garantire, seppur entro certi limiti, i depositi bancari nei confronti dei depositanti in caso di difficoltà di tipo gestionale delle istituzioni bancarie e finanziarie, non riuscissero più ad “onorare” i propri impegni, ad osservare i propri compiti, ad avere ancora una ragion d’essere, nulla più impedirebbe la disintegrazione sociale, l’implosione di sistema.Un simile scenario potrebbe indurre un parlamentare, meglio ancora se Presidente del Consiglio, a dire qualsiasi stupidaggine, peggio ancora a farla. Ritorno all’Economia protezionista? Ridefinizione neo-corporativa dello Stato? Involuzione autoritaria delle Istituzioni democratiche? Limitazione del diritto di sciopero? Attacco diretto alla libertà di stampa e informazione? Restrizione dei margini di agibilità democratica, politica, sindacale? Tutte insieme e progressivamente?.. C’è da rifletterci..
Ma il “Grande Salvataggio” è ormai varato. Chi riflette è perduto! La crisi merita decisionismo, autorità, nessuna discussione! Meglio se a “risolvere” il dibattito parlamentare siano i soli capigruppo dei vari schieramenti..
Viene da chiedersi cosa accadrà ora, a sei mesi dal voto sui “Piani di Salvataggio”. Intanto l’obiettivo primario, stabilizzare il sistema bancario e placare i mercati, sembra già essere fallito. Mentre le attuali “manovre correttive” – che insistono sulle stesse logiche dei “Piani” – somigliano sempre più alla “finanza creativa” di Ponzi (ma non solo di Ponzi…), i cui elementi teologico-matematici, seppur ampiamente dibattuti in una costante corsa all’interpretazione, riuscirono nello scopo di rafforzare il mistero dei sofisticati titoli azionari. La classe dominante, poi, finge di ignorare che il problema principale, sotteso al tracollo dalle Finanza internazionale, è il petrolio, nonché la dipendenza oggettiva dell’Economia dall’approvvigionamento energetico e di materie prime. Senza rifornimenti di petrolio sicuri e crescenti non c’è crescita industriale e senza crescita industriale gli strumenti d’investimento finanziario perdono di legittimità. Sarà per questo che i titoli azionari di “ponziana” memoria non vengono più, di fatto, considerati truffa, ma, al contrario, si presentano come il tentativo in extremis di compensare lo stallo della crescita industriale creando ricchezza…dal nulla?!
Poco male, se così fosse. Detto questo, però, l’investimento in ordine a nuova, astrusa finanziarizzazione all’indomani dell’approvazioni dei “piani anti-crisi”, invece di risollevare i mercati, li hanno depressi ulteriormente. Crollano gli investimenti nei tecnologici, si torna ad investire nei titoli industriali, magari in quelli dei Paesi produttori di petrolio oggi abbarbicati in un nuovo “nazionalismo petrolifero” che scompagina il mercato delle transazioni del greggio così come l’abbiamo conosciute nel XX secolo.
Resta però insoluta la questione del “picco del petrolio”, ovvero la crescente domanda planetario per il consumo pro-capite che ormai supera progressivamente l’offerta. Nella contesa sempiterna tra Paesi importatori di petrolio si determina la speculazione sul prezzo del greggio, per la verità già partita agli inizi del 2008 e seguita dalla conseguente speculazione sul prezzo dei generi alimentari. E perché, a questo punto, non speculare anche sul prezzo dell’acqua?..
Parlare di “soluzioni”, in questo stato di cose, pare inappropriato, giacché presuppone una linea di continuità, seppur magari parzialmente “aggiustata”, nel quadro di una società dei consumi che non può più esser tale. E le ubriacature sulle “fonti d’energia alternative” – sappiamo – non potranno fare fronte alle nostre abitudini ai consumi e matenerne gli stessi livelli.
Più utile, forse, sarebbe pensare a un diverso modello di sviluppo, alternativo al sistema di produzione capitalistico che, nel suo stesso incedere, ha prodotto esattamente le ragioni della sua crisi non più “rinviabile”. Un sistema di produzione, distribuzione e scambio che funzioni come razionalizzazione funzionale dell’Economia, un sistema che – senza aver paura di utilizzare parole e concetti che sembrano appartenere ad epoche ormai scorse – pianifichi gestione e socializzazione di proprietà, redditi e risorse, ridistribuisca ricchezza reale per “regolamentare” davvero un mercato forse, ad oggi, davvero troppo libero, troppo anarchico, suicida e assassino insieme..
È strano e preoccupantemente divertente vedere ogni giorno i giornalisti inviati di Borsa che tentano di spiegare al largo pubblico lo stato dell’arte pur non potendo venir meno alla parola d’ordine di “infonder fiducia” imposta loro dalle centrali di controllo dell’Informazione ufficiale. Equilibrismi misti ad astrusità all’occorrenza artate sembrano suggerire ormai che la fiducia nel Mercato altro non può essere che un “atto di fede” e – si sa – la fede ha sempre i suoi misteri, dogmaticamente posti, assiomaticamente dati. In effetti, nelle parole di Howard Kunstler, scrittore ed ex giornalista statunitense, “solo la metafora religiosa è in grado di rendere il disastro cui stiamo assistendo, perché solo Dio sa dove andremo a finire”. E se Dio fosse di destra?...
RedAlert
lunedì 6 aprile 2009
RdB VIGILI DEL FUOCO DENUNCIANO...
venerdì 3 aprile 2009
martedì 10 febbraio 2009
LA NOSTRA MEMORIA
Gli ustascia, nazionalisti cattolici filofascisti, sostenuti e finanziati dal regime di Mussolini, costituirono lo "Stato indipendente di Croazia", con a capo Ante Pavelic e la benedizione del Vaticano. Obiettivo principale della loro politica razzista fu lo sterminio dei serbi cristiano-ortodossi, una vera pulizia etnica, e la persecuzione sistematicamente pianificata e organizzata su vasta scala di ogni oppositore al costituendo regime, comunisti in primis.
Per barbarie e ferocia – dicono le cronache – gli ustascia superarono le SS naziste.
Tristemente famoso, salvo che in Italia, divenne il campo di sterminio di Jasenovac, attivo, con esecuzioni giornaliere di centinaia di uomini, donne e bambini, dal 21 agosto 1941 al 22 aprile 1945. Comandante del campo di Jasenovac fu il frate francescano cattolico Miroslav Filipović-Majstorović, chiamato dal Popolo “frate Satana”. Fra le sue “prodezze” personali, il 7 febbraio 1942, l'uccisione nella zona di Banja Luka di 2750 serbi ortodossi fra cui 250 bambini, in sole dieci ore. Se ne vantò durante il processo che subì in Jugoslavia dopo la guerra. Il Vaticano si limitò a sospenderlo dall’officiare messa..
La maggior parte dei massacri, oltre che nei campi di sterminio, avvenne, ad opera di bande ustascia comandate da preti e frati cattolici, nelle strade, nei villaggi, ovunque sotto gli occhi di tutti. Fra le vittime anche 74.762 bambini, da quelli in fasce fino a quelli di 14 anni. Dalla primavera del ’41, occupazione e brutale durezza contro la popolazione civile, confisca dei beni e “caccia all’uomo”, rastrellamenti ed esecuzioni sommarie, campi di concentramento e tortura furono all’ordine del giorno. Solo in Italia non se ne è saputo niente.. Cosi è rimasta nascosta l'intera vicenda del lager di Jasenovac, la Auschwitz dei Balcani e delle responsabilità italiane in merito.
È di questi crimini che l’Italia fascista di Mussolini e del Re avrebbe dovuto rispondere perché è di questi crimini che è responsabile. Invece nessuno degli oltre 700 (dato della Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra) criminali di guerra italiani, a cominciare dai generali Roatta e Robotti, è stato mai condannato né estradato e consegnato alle autorità jugoslave.
A beffa di tutto questo, sordida e mendace operazione di inaccettabile revisionismo storico – promossa dalle destre di governo, applaudita dalle nuove destre eversive ed anti-costituzionali e “collaborata” dalle fittizie “sinistre democratiche” in ansia di compatibilizzazione nel sistema dell’alternanza borghese di governo – nel 2004 è stata istituita la “Giornata del ricordo”, proprio oggi, 10 febbraio, a “memoria” degli italiani morti nelle foibe, mentre già nel giugno del 2002, l’ormai defunto Papa Giovanni Paolo II, Papa dei giovani e della “Pace”(sic!) aveva avuto premura di beatificare monsignor Stepinac, arcivescovo di Zagabria, complice degli ustascia.
Ricordare gli italiani. Certo! Vale la pena ricordare. Ricordare, però, chi ha dato la vita per la Libertà. Ricordare chi è caduto nel tentativo di dare un futuro ai propri figli. Ricordare chi ha lottato per non morire invano.
L’8 settembre ’43 quarantamila soldati italiani presenti nei Balcani si unirono ai partigiani jugoslavi nella lotta per la liberazione dal nazifascismo. Accolti come fratelli dalle popolazioni jugoslave, metà di essi diedero la vita in quell’epica lotta, riscattando così il nostro Paese dall’onta in cui il fascismo l’aveva gettato. Sono questi gli italiani cui oggi deve andare il nostro rispetto, il nostro ricordo più fervido e accorato. Sono gli italiani cui la nostra seppur malconcia Repubblica democratica fondata sul lavoro nata dalla Resistenza, deve riconoscenza e memoria vera. Sono gli italiani cui noi tutti dobbiamo oggi l’onere, l’onore e l’impegno rinnovato nella lotta per preservare quei margini di agibilità democratica, politica e sindacale da loro guadagnati per noi tutti.
Sono questi gli italiani che vale oggi la pena di ricordare! Proprio oggi, nel tempo del revisionismo storico più bieco e strumentale, nel tempo della modificazione coatta dell’architrave costituzionale del Paese piegato a esigenze neobonapartiste di chi si crede padrone del “suo” Popolo.
Sono gli italiani, combattenti antifascisti a casa propria come altrove; che riscattarono l’Italia dall’oblio in cui l’avevano cacciata i fascisti e i loro amici; che diedero il loro contributo insostituibile alla liberazione dell’Europa intera dallo stivale nazifascista che l’opprimeva; che nel loro esempio di vita militante, permisero a noi Compagni e cittadini d’oggi, di poter esser Popolo sovrano e godere di quella Libertà che di nuovo qualcuno prova ancora a toglierci.
per l'Autorganizzazione sociale
venerdì 23 gennaio 2009
NAPOLI CITTA' APERTA!
UN'ALTRA NAPOLI E' NECESSARIA!
MA SENZA AFFARISMO, RAZZISMO E NEOFASCISMO
Sabato 24 gennaio, La Destra, un partito di dichiarata ispirazione neofascista e razzista, organizza una manifestazione nazionale a Napoli!
Organizzazioni incostituzionali come La Destra sfruttano il revisionismo storico che le istituzioni nazionali incoraggiano da anni, ma anche e soprattutto le politiche della paura, di sfruttamento e repressione del "diverso", a partire dagli immigrati. Politiche in cui il governo Berlusconi sta investendo a piene mani, perchè é il tentativo di fomentare la "guerra tra poveri" per impedire che i poveri si uniscano e chiedano ai ricchi di pagare la crisi che loro stessi hanno provocato!L'alternativa infatti esiste: è quella indicata dai movimenti, dalle comunità e dai comitati che in questi anni si sono mobilitati nella nostra città, costituendo un'opposizione reale alle politiche messe in atto dal governo locale e nazionale. Movimenti che si battono quotidianamente per la tutela ambientale dei territori, per il diritto alla salute, il diritto al lavoro e al reddito, la difesa della scuola e dell'Università pubblica, la funzione sociale dei saperi, per la laicità…Il nostro appello si rivolge perciò a tutti quelli che non vogliono restare intrappolati tra un governo pubblico impresentabile e un alternativa reazionaria e oscurantista, il cui programma, per altro, é un nuovo sacco edilizio di Napoli!Costruiamo invece una mobilitazione che neghi l'agibilità ai nuovi squadristi e riproponga dal basso una ricomposizione delle battaglie per una città dei diritti, dell'antirazzismo, dell'antisessismo e dell'antifascismo!
Sabato 24 Gennaio - ore 14.30
Antirazzist* e Antifascist* napoletani
mercoledì 21 gennaio 2009
INTERVISTA AL FPLP
Avanzare sul terreno della lotta del Popolo palestinese, ricondurla a un ambito di più generale lotta contro l'imperialismo internazionale già a partire da quello "di casa propria", sostenere un popolo al fine di contribuire a determinare le condizioni per l'emancipazione del proprio stesso Popolo, significa e comporta diffondere controinformazione rispetto a quella "ufficiale" dei grandi media, strumentalmente orientata a sopire per poi spezzare coscienze ed attenzione. Significa e comporta autorganizzarsi nel conflitto, attrezzandosi, anche in termini teorici e cognitivi, a farlo. Significa e comporta riconoscere lo spessore delle forze in campo, avere cognizione della "posta in gioco", lottare per la liberazione propria e di tutti quanti oggi sono ancora oppressi, nel "gioco" d'un Capitale ormai già in crisi.
L'agenzia di stampa Ma'an intervista l'FPLP sull'aggressione israeliana a Gaza – 18 gennaio 2009
http://www.pflp.ps/english/
Il 17 gennaio 2009 l'agenzia di stampa Ma'an ha realizzato la seguente intervista con un portavoce del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Nell'intervista l'FPLP discute sulla centralità della resistenza palestinese e sulla persistente aggressione contro il popolo palestinese, in particolare sull'aggressione contro Gaza cui Israele ha dato inizio il 27 dicembre 2008.
L'FPLP ed il suo braccio armato, le Brigate Abu Ali Mustafa (BAAM), al momento sono impegnate in scontri contro le truppe di terra israeliane nella Striscia di Gaza, mentre continuano a lanciare missili attraverso la Green Line verso Israele.
Ma'an ha parlato con un portavoce ufficiale del movimento laico e di sinistra per gettare un po' di luce sull'attuale lotta contro Israele e sullo stato della politica palestinese, sui rapporti con Hamas e con l'Autorità Nazionale Palestinese (ANP).
Ma'an: Qual è la posizione dell'FPLP sulle motivazioni che hanno spinto Israele a lanciare la sua massiccia aggressione contro Gaza?
I piani israeliani contro il nostro popolo ed i nostri diritti possono essere realizzati – malgrado la complicità degli Sati Uniti, dei regimi arabi e di parte della "leadership" palestinese – solo con l'eliminazione della resistenza palestinese.
Ora Israele sta imparando che, parimenti a quanto accaduto in Libano nel 2006, malgrado la sua brutalità e l'assoluta criminalità, la nostra gente è il cuore, la culla e la forza della nostra resistenza, e che i loro attacchi non sconfiggeranno mai il nostro popolo né la nostra determinazione nella difesa dei nostri diritti al ritorno, all'autodeterminazione e alla sovranità.
Ma'an: Le incursioni aeree, marine e di terra di Israele sono realmente dirette contro Hamas ed i razzi?
Questo è il motivo per cui individuano come obiettivo i razzi: rendono l'occupante insicuro, poiché ognuno di essi è un simbolo ed un atto fisico del nostro rifiuto della loro occupazione, dei loro massacri, dei loro crimini e dei loro continui attacchi contro il nostro popolo. Ogni razzo dice che non acconsentiremo alle loro cosiddette "soluzioni", basate sulla cancellazione e sulla negazione dei nostri diritti.
Ma'an: Cosa dite a proposito delle prossime elezioni parlamentari israeliane? Hanno giocato un qualche ruolo nella decisione di attaccare Gaza?
Ma'an: Quanti combattenti dell'FPLP e delle BAAM sono stati uccisi durante l'invasione israeliana e/o I bombardamenti aerei?
FPLP: Al momento non rilasciamo statistiche o informazioni di questo genere poiché sarebbero solo un aiuto all'aggressione militare del nemico contro il nostro popolo. Comunque, possiamo dire che membri delle BAAM sono stati fortemente attivi in tutte le forme di resistenza contro gli invasori e gli occupanti.
Ma'an: Le BAAM sono state attive nella resistenza contro l'esercito invasore?
Stanno inoltre lavorando strettamente e in coordinamento con tutte le altre forze della resistenza in una lotta unitaria per opporsi al nemico ed unificare la nostra resistenza di fronte ai crimini e ai massacri di Israele.
Ma'an: In quale situazione l'FPLP potrebbe firmare un 'cessate il fuoco' con Israele?
Israele ha costretto ad una fine della "tregua" con i suoi attacchi ed omicidi – e poi l'ha usata come una scusa per attaccare i palestinesi (per esempio, il 4 novembre, bombardamenti aerei hanno ucciso cinque militanti ed un civile); un obiettivo che ha avuto da sempre, e ha usato un piano d'aggressione preparato precedentemente, durante la cosiddetta "tregua".
La resistenza, in maniera unificata, può sempre decidere che tattiche usare in ogni tempo. Noi chiediamo la fine dei massacri, il ritiro delle truppe d'occupazione dalla nostra terra, la piena, immediata ed incondizionata apertura di tutti i confini – in particolare del valico di Rafah - e la fine dell'assedio contro il nostro popolo. Ma non abbandoneremo mai i nostri diritti fondamentali – a resistere, a difendere il nostro popolo, al ritorno, all'autodeterminazione ed alla sovranità – in nome di una cosiddetta "tregua", che è esattamente ciò che Israele desidera.
Ma'an: Quali sono oggi le relazioni tra Hamas e l'FPLP?
Ma'an: Ma l'FPLP è un movimento laico. Ciò non crea difficoltà nel lavoro con Hamas, che invece crede in una società ed in un governo islamico?
Entrambi rifiutano i cosiddetti "negoziati", la cooperazione con l'occupante e qualsiasi cosiddetta soluzione politica basata sulla negazione e sull'abrogazione dei diritti della nostra gente; entrambi combattono uniti nella resistenza contro i massacri ed il genocidio perpetrati contro i palestinesi. Questa è l'unità ed è la relazione che ci interessa al momento: unità nella lotta, per il nostro popolo, la nostra causa ed i nostri diritti.
Ma'an: Tornando alla politica, qual è la posizione dell'FPLP sulla legittimità di Mahmoud Abbas (Abu Mazen), il cui mandato è terminato ufficialmente il 9 gennaio?
Ma'an: L'FPLP crede che, date le circostanze, i palestinesi dovrebbero concentrarsi sulla Striscia di Gaza e meno sulla politica interna? O il ruolo della politica palestinese è più importante che mai?
FPLP: Questo è un momento fondamentale per il movimento nazionale palestinese e per la sua causa, di fronte ad un nemico dedito alla distruzione. La domanda per tutti è: stare con la resistenza o in disparte e permettere così che l'aggressione continui? Ogni briciolo di legittimità politica al momento dipende dalla risposta a questa domanda.
Ma'an: Qual è la situazione dell'FPLP e delle altre organizzazioni della resistenza nella West Bank?
FPLP: Anche la West Bank è sotto assedio, solo di tipo diverso: l'assedio dell'occupazione, degli 11.000 prigionieri politici, della costante confisca della terra, della costruzione delle colonie, dell'innalzamento del muro d'annessione e degli altri crimini continui contro il nostro popolo. Infatti Israele sta approfittando che gli occhi del mondo si siano spostati dalla West Bank a causa dei massacri a Gaza, per procedere ad un numero ancor più grande di confische di terre e di attacchi in Cisgiordania.
Noi non permetteremo che il nostro popolo sia diviso, risieda esso nella West Bank o a Gaza, nei territori palestinesi occupati nel 1948 (i palestinesi all'interno di Israele) o in esilio.
Ma'an: L'FPLP si aspetta che i palestinesi fuori dalla Striscia si solleveranno contro l'occupazione, specialmente alla luce delle recenti atrocità israeliane a Gaza?
FPLP: Noi siamo un'unica nazione, un unico popolo ed un'unica causa, e tutti i piani del nemico per spezzare quest'unità sono destinati a fallire. La nostra determinazione a resistere e a difendere i nostri diritti nazionali al ritorno, all'autodeterminazione, alla libertà e alla liberazione, alla sovranità, ci assicurerà la vittoria e l'unità del nostro popolo, della nostra terra e della nostra causa.
Traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli
coll.autorg.universitario@gmail.com
http://cau.noblogs.org/