lunedì 31 marzo 2008

SINDACALISMO METROPOLITANO E SINDACALISMO DI CLASSE

La necessità di assumere una posizione chiara, inequivoca e non opportunistica sulla questione sociale relativa alla reale rappresentanza sindacale, diretta, autonoma e di classe, di operai e lavoratori, nonché delle nuove fasce del precariato sociale, è ormai indifferibile. La costruzione di un ampio fronte sociale antagonista, di massa e di classe, passa per la soluzione di questa questione. Il nodo strategico per i comunisti è oggi come colmare questo vuoto.

Negli ultimi decenni i lavoratori hanno subito pesanti sconfitte, subendo un arretramento più o meno progressivo delle loro condizioni di vita e di lavoro, sì come definito da anni di politiche classiste, antipopolari e antioperaie articolate e promosse, trasversalmente, da Centrosinistra e Centrodestra, poli dell'alternanza borghese di governo. La controriforma del mercato del lavoro, già avviata durante il primo governo Prodi con l'approvazione del pacchetto Treu, fu assecondata ed eretta poi a sistema delle relazioni tra le parti, dal governo D'Alema che si spinse, con la proposta di sanzionare gli scioperi del pubblico impiego e con il nuovo patto sociale, a creare un clima di repressione di tutte le residue resistenze nei luoghi della produzione e dei servizi. Con le operazioni avviate dal Centrosinistra di governo quanto a maggiori privatizzazioni degli enti ancora pubblici e liberalizzazione complessiva dei settori strategici dell'economia del Paese, smantellamento dello Stato sociale e tentativo di cancellazione dello Statuto dei Lavoratori, il secondo governo Berlusconi ha potuto far passare facilmente il Libro Bianco sul lavoro ed il Patto per l'Italia (Legge 30): il lavoratore, l'operaio, costretto all'ordine di esigenze proprietarie e di profitto a lui estranee poiché proprie a classi dominanti e del mercato, dev'esser disponibile ad una totale precarietà e flessibilità, a costo quasi zero per l'azienda, senza tutela e sicurezza, senza diritti sul luogo di lavoro. Sottoposto a regime di supersfruttamento e, volenti o nolenti, antesignano di quella che rapidamente si appresta ed essere la "normalità nuova" della condizione del Lavoro. Così il "precario", nella condizione di generalizzazione della precarietà quale norma del funzionamento generale del mercato del lavoro, non sarà più tale, nella misura in cui non esisteranno più formule di lavoro stabile, stabilizzato o stabilizzanti rispetto alle quale esser, appunto, "precari"...
A completare il quadro risulta la strategia consociativa dei vertici del sindacalismo collaborazionista che, attento più agli interessi complessivi dell'azienda che a quelli della classe, ha sguarnito completamente il fronte di tenuta storica del movimento operaio, anche rispetto al semplice terreno della contrattazione. Questa la cosiddetta "modernizzazione" del mercato del lavoro. Questo il segno vero di un capitalismo che non può essere "corretto" né può avere volto umano…

Eppure il risultato relativamente positivo del sindacalismo extraconfederale di sinistra nei rinnovi delle Rsu nel pubblico impiego e nelle grandi aziende metalmeccaniche, è il segno che i lavoratori non hanno imboccato ancora il sentiero della rassegnazione e dell'integrazione ma non ha risolto – né può farlo in sé – il problema politico dell'assenza di tensione e di un progetto anticapitalistico, apertamente rivoluzionario, capace di ridare entusiasmo e fiducia alle classi lavoratrici e alle nuove fasce del precariato sociale.

La classe operaia storicamente intesa, sebbene resa "residuale" dalla generale politica di decentramento produttivo nelle aree di una conquista capitalistica (Medio Oriente su tutte) o investite dal più pesante restaurazionismo (vedi allargamento ad Est dell'UE), può oggi reagire alla stretta del padronato in accordo con le burocrazie sindacali, solo nel "disgelo" di una rinnovata e già recuperata potenzialità conflittuale generalizzata ed allargata a settori più ampi di resistenza sociale. Fuori e contro gli interessi di azienda e proprietà, dunque, e con la convinzione dell'urgenza di una rifondazione sindacale, di classe e rivoluzionaria, quale coordinamento compattato tra gli elementi più coscienti ed avanzati espressi tanto dalla classe quanto della più generale resistenza sociale. Obiettivo: promuovere ed estendere il coefficiente di durata ed intensità delle lotte di settore in una più generale determinazione del conflitto di classe e di massa.
Solo in questo modo, che consta dell'interpretazione delle nuove variabili del conflitto, della rifondazione stessa delle soggettività collettive a loro volta determinate dalla riorganizzazione del ciclo generale di produzione e riproduzione sociale dell'attuale modello economico occidentale, dell'individuazione di nuovi luoghi e nuovi terreni di aggregazione e riaggregazione sociale, sarà possibile passare da una dimensione di mera resistenza – purtroppo progressivamente erosa dall'assedio permanente delle forze del Capitale – a quella di controffensiva e avanzamento.

Siamo ben consapevoli che il percorso non è ne facile né immediato. Il Governo uscente ed oggi ricandidato in varia forma alla guida del Paese, di concerto con le destre ad esso fintamente contrapposte, ha lavorato per due anni alla "calmierazione" delle lotte nel quadro delle compatibilità istituzionali a salvaguardia degli interessi dominanti. Ha imposto, in nome e per conto di una sostanziale continuità col governo ancora precedente ulteriori "lacrime e sangue", "tagli e sacrifici" per i lavoratori salariati e dipendenti e, più in generale, delle fasce sociali già precarie e "non protette". La natura classista delle forze egemoni della competizione elettorale attuale, nonché i modificati blocchi sociali di riferimento della presunta "sinistra radicale" pesantemente compromessa dall'esperienza del governo uscente, determinerà ulteriormente una situazione per cui qualsiasi sia il prossimo governo non si farà che lavorare, sul fronte del Lavoro, alla detonazione del potenziale esplosivo dei conflitti sociali, utilizzando i sindacati concertativi come sorta di "cinghia di trasmissione all'incontrario" in funzione "pacificatrice", nell'ordine più generale dello storico collaborazionismo interclassista.

Settori consistenti di lavoratori e militanti hanno tentato ripetutamente di contrastare la politica confederale, ma hanno dovuto scontrarsi, prima ancora che con i padroni, proprio con le burocrazie sindacali. La stessa Cgil è stata a lungo a metà strada tra antagonismo e subalternità, senza autonomia dallo Stato e dalla logica d'impresa.
S'impone oggi con evidenza e urgenza, con possibilità oggettiva, il nodo della ricostruzione di un autentico sindacalismo di base e classe, a condizione che esso sia allargato a dimensione sociale e generale del conflitto. Di un soggetto di massa che sia totalmente autonomo non solo dai partiti, ma anche dalle istituzioni statuali e dal quadro delle compatibilità capitalistiche. Che giochi, quindi, questa sua autonomia nella difesa delle condizioni materiali di vita e di lavoro del proletariato vecchio e nuovo, espandendone poteri e diritti in nome di un'alternativa reale di Sistema e di Potere.

Tanto nel sindacato confederale che in quello extraconfederale esistono pezzi importanti della cultura e della pratica antagonista: un patrimonio di esperienze e di storia, un portato di lotte e di conquiste che non si può mantenere frammentato; esso va unificato attraverso un processo di riaggregazione, base fondamentale della ricostruzione di un sindacalismo di massa teso ad interpretare, coordinare e dirigere una reale opposizione di classe, nel quadro della più generale opposizione sociale, tanto alle politiche fintoriformatrici solidali e complici con le forze del Capitale che, a maggior ragione, alle politiche esplicitamente classiste oggi dominanti.

Una riaggregazione che ha bisogno di momenti significativi di scomposizione e ricomposizione dei soggetti esistenti, che ha bisogno soprattutto dell'intervento attivo dei settori più combattivi del proletariato e del lavoro dipendente, ma anche del non-lavoro indotto o del più generale precariato sociale. L'idea stessa di una sorta di sindacato metropolitano che ragguagli e coordini le battaglie sociali generalmente intese investendo, in termini di nuova aggregazione e partecipazione diretta e attiva, su quelle soggettività sociali e collettive che costituiscono, ancora ed in maniera rinnovata, l'ossatura delle lotte e delle manifestazioni come legittimi rappresentanti degli interessi di classe.
Ci rendiamo conto della complessità della situazione. Siamo consapevoli che ricostruire un sindacato di classe, non è decidere la nascita di una sigla nuova o sommare alcune di quelle esistenti, ma è un processo politico. Ci rendiamo anche conto dei problemi sia teorici che pratici che devono essere affrontati e risolti.

Purtroppo, ad oggi, quei settori seppur di avanguardia interni ed esterni al sindacalismo confederale non riescono, proprio per le diverse stratificazioni e vicende storiche di cui sono il prodotto, ad unificarsi, né a fare egemonia. E' qui che è indispensabile il ruolo e la proposta pratica dei comunisti. Abbiamo la necessità di unificare la volontà dei comunisti secondo una linea comune e riteniamo che i luoghi dove realizzare e verificare tale processo siano le conferenze permanenti delle lavoratrici e dei lavoratori, unite alle quelle esperienze di resistenza e riaggregazione sociale, nelle diverse dimensioni di settore e territorio. La liberazione di nuovi e più proficui spazi sociali autogestiti tenta, infatti, di muoversi proprio in questa direzione. Le consulte permanenti sono da realizzarsi nell'immediato a ché i possano esse stesse, collettivamente, diventare punto di riferimento e di raccordo tra elementi coscienti e combattivi che lavorino alla radicalizzazione delle lotte, all'estensione delle rivendicazioni, alla generalizzazione del conflitto.
Partire dall'elaborazione di una comune strategia di intervento e mobilitazione permanente, articolata intorno ad una piattaforma unificante e condivisa, da far vivere in e da quel conflitto, sebbene diversamente determinato dalle specificità territoriali di riferimento, diventa un primo ma considerevole passo in direzione della ricostruzione di un blocco autonomo di classe "sindacalmente" organizzato.

La riaffermazione della centralità strategica delle nuove e diverse soggettività di classe quali soggetti primari della determinazione rivoluzionaria della transizione al Socialismo richiede, dunque, l'elaborazione di un programma di lotte sociali incardinato su rivendicazioni che presuppongono la realizzazione di elementi, sia pur parziali, di socialismo, della pratica del controllo popolare e della democrazia diretta, proprio a partire dai luoghi di lavoro e del conflitto. La metropoli rappresenta, da questo punto di vista, non solo un coacervo di contraddizioni stridenti ed evidenti in sé, ma anche una opportunità di riaggregazione politica e sindacale su basi rivoluzionarie materiali, non più intesa come epicentro dal quale il conflitto irradia, bensì come terminale concentrico delle lotte particolari di settore e territorio. Fuori dalla sterile dichiarazione d'intenti, dalle mere petizioni di principio e, men che meno, dalle impotenti enunciazioni per punti di piattaforme sempre più simili a "liste della spesa" che non ad un reale progetto di mobilitazione sociale anticapitalista.

Ribadiamo, pertanto, con forza la nostra convinzione: la correttezza della proposta politica e sindacale si verifica nelle battaglie rivendicative e nella lotta di classe che saremo in grado di mettere in campo, collettivamente ed in modalità in più possibili unificanti, con l'azione di quadri militanti attivi nelle alleanze sociali realizzate.

Collettivo Politico MILITANZ Casa del Popolo
per l'Autorganizzazione sociale

domenica 30 marzo 2008

MAI STATI ANTISEMITI, SEMPRE ANTISIONISTI

BOICOTTIAMO LA FIERA DEL LIBRO DI TORINO!

1948-2008. Sono ormai passati 60 anni dalla nascita dello Stato d'Israele sulla terra di Palestina. Da 60 anni continua l'occupazione da parte dello Stato sionista d'Israele che ha cacciato, con la prima occupazione del '48, più di 700.000 palestinesi dalle proprie case, dalla propria terra, producendo quella che i palestinesi ricordano come la "Nakba", la catastrofe. Quest'anno lo Stato Italiano, che vanta ben 26 missioni militari all'estero ai danni di altrettanti popoli, approvate tanto dal Centrodestra quanto dal Centrosinistra (con l'organica collaborazione della Sinistra Arcobaleno), ha deciso di rendere lo Stato sionista d'Israele ospite d'onore della Fiera del Libro di Torino, per festeggiare i 60 anni della sua fondazione.

QUESTO È INACCETTABILE!

Per noi non c'è nulla da festeggiare. Questa ricorrenza, per lo Stato italiano e le altre potenze imperialiste dell'Unione Europea e gli USA è la ricorrenza della nascita dello stato d'Israele. Per noi invece rappresenta l'anno della "Nakba", la cacciata dalla propria terra di migliaia di palestinesi, l'inizio di un'occupazione che prosegue nella costruzione di uno stato razzista e colonialista, nella costruzione del "muro dell'Apartheid", nel criminale embargo ai danni dei palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza che da un anno e mezzo condanna alla miseria e alla morte migliaia di Palestinesi. E' di questi giorni la notizia di nuovi raid israeliani nella Striscia di Gaza che hanno provocato più di un centinaio di morti in appena cinque giorni.

Non si può essere equidistanti, si deve scegliere da che parte stare: lo Stato italiano ha scelto la parte dell'oppressore, noi appoggiamo invece quella degli oppressi, quella del Popolo Palestinese. In questo senso, l'unico modo per sostenere realmente la causa palestinese è quello di dar voce alla sua lotta, non solo sostenendo la sua Resistenza contro l'occupazione fascista dello Stato d'Israele, ma sostenendo la campagna di boicottaggio contro la fiera del Libro di Torino individuando nell'imperialismo UE, e dell'Italia in primis, i veri responsabili di questa scelta.Invitiamo perciò tutti a partecipare attivamente alle iniziative che si costruiranno in futuro per contribuire all'effettiva riuscita del boicottaggio della Fiera del Libro di Torino, in vista della manifestazione nazionale del 10 Maggio nel capoluogo piemontese.

VERREMO ACCUSATI DI ANTISEMITISMO.
MA NON C'È NULLA DI PIÙ FALSO.

CONDANNIAMO INVECE IL SIONISMO E LA SUA IDEOLOGIA.

BOICOTTIAMO LA FIERA DEL LIBRO DI TORINO!
  • Contro l'imperialismo sionista d'Israele!
  • Per la costruzione di un unico Stato demicratico su tutta la Palestina storica!
  • Solidarietà ai Popoli che resistono all'imprialismo!
  • Per il ritiro delle truppe italiane da tutti i fronti di guerra!

COORDINAMENTO NAPOLETANO 2008 ANNO DELLA PALESTINA

mercoledì 26 marzo 2008

2008 ANNO DELLA PALESTINA

Fin dal 1917, da quando La Gran Bretagna cominciò a indirizzare gli Ebrei verso la Palestina, presunta "terra senza Popolo" per un "Popolo senza terra", risultavano palesi gli interessi coloniali ed espansionisti del sionismo internazionale. Come è facile riscontrare già nelle dichiarazioni riportate sul memorandum di Lord Balfour, gli interessi della popolazione di cultura ebraica andavano ben oltre – anzi sarebbero persino passate sopra! – la sorte di "soli 70.000 Arabi con tutti i loro desideri e pregiudizi". Era cominciata, seguendo le tracce storiche e religiose del "Popolo Eletto", la costruzione della "Grande Patria nazionale Ebraica". Cominciava l'occupazione della terra di Palestina.

Quando nel 1948 prese corpo un vero e proprio Stato Israeliano, Stato confessionale a guida teocratica, gli Arabi furono cacciati dalla loro terra. Progressivamente. A mano armata. Agli Ebrei immigrati in Palestina veniva promessa non solo la "nazionalità", ma anche la terra e la casa "lasciata" dell'Arabo in fuga. Quasi un milione di Arabi fuga, in verità. In fuga dalla persecuzione, dalla messa al bando, dall'occupazione militare, dal rischio praticato di vero e proprio genocidio, da un piano di sterminio di massa organizzato su larga scala proprio da chi, vittima ieri, diventava carnefice dell'oggi. Una delle prime e più "fortunate" operazioni militari israeliani, infatti, si chiamò "fatto compiuto". Cosa che bene lascia intendere la mentalità e le ansie di rivalsa dei primi "pionieri israeliani". Uomini e donne, reduci dall'Olocausto contro di essi condotto dal III Reich, che molto avevano da guadagnare, poco da perdere. Uomini e donne, sopravvissuti alla barbarie nazi-fascista, orgogliosi di esser disposti a morire e morire ancora pur di ricostruire un loro "libero Paese" e, invece, divenuti essi stessi assassini in nome di quello stesso "libero Paese". Certi della volontà del loro Dio e, pertanto, incuranti dell'orrore del passaggio da una parte all'altra di quella sottile eppur nettissima "barricata".

Al contrario, il passaggio dalla politica dell'Havlagh (limitazione) a loro imposta con la forza e con il sangue alla politica della Vetekumah (rinascita) dell'intero Popolo ebraico, diveniva proprio la giustificazione etica e morale – nonché lo stesso puntello ideologico – della costruzione d'Israele come Stato, dell'usurpazione e della rapina della Palestina come terra. Giustificazione che faceva leva su un intero Popolo che ancora sentiva bruciare sulla pelle la repressione nazista come ultima, solo in ordine di tempo, di quelle subite nell'arco della storia complessiva degli Ebrei, delle accuse a loro mosse, delle congiure a loro imputate, delle ragioni tutte per cui, storicamente, furono sempre ghettizzati e poi scacciati. Giustificazione che trovava piena conferma nel concetto di Shoah (catastrofe) nei secoli subita e, poiché ormai memori delle incidenze della Storia a loro sì ostili, da fronteggiare con nuovo vigore e non rassegnazione. Al concetto di Shoah veniva così affiancato il mito dell’eterno riscatto ebraico. Era il mito del Vagevurah (eroismo) che, promanando dall’insurrezione ebraica del ghetto di Varsavia contro l’occupazione nazista, dava giustificazione apologetica a qualsiasi “risposta” d’Israele – considerata sempre legittima! – contro qualsiasi altro atto condotto a suo danno, qualsiasi altra possibile “catastrofe”, prima tra tutte il ritorno dei profughi Arabi in Palestina!

Questi concetti praticati vennero, col tempo, ricombinati artatamente all’occorrenza, di modo che, all’interno del movimento sionista, gli elementi più fanatici e estremisti (nazionalisti e religiosi) spazzassero via le pur considerevoli tendenze egualitarie e socialiste di parte delle prime comunità yddish immigrate in Israele. Le stesse basi di uno Stato segregazionista qual è oggi lo stato d’Israele stanno tutte in questi miti che hanno orientato, poi piegato e poi spezzato ogni presupposto di qualsivoglia convivenza. Di contro, dunque, le tendenze libertarie, collettiviste e federate dei primi Kibbuzzim (comunità agricole autogestite e antistatali) che avrebbero potuto rappresentare un modello economico di autorganizzazione produttiva fondato su un comune programma di liberazione sociale tra Arabi e Israeliani, fuori dalle astratte contrapposizioni nazionaliste e riconducendo quelle stesse artefatte contrapposizioni ai reali antagonismi di classe.

Ed è così che da più di 60 anni ormai, in Medio Oriente, in Palestina si combatte uno dei più atroci conflitti che la Storia abbia mai conosciuto. Una guerra, talora esplicita, talora strisciante e condotta su più piani (economico-militare, diplomatico-politico, ideologico) che matura in una strumentale “comunicazione a singhiozzo” dei media occidentali, più preoccupati di “fare/creare pubblica opinione” e poi censirla che non riportare “i fatti” a che ognuno possa fare di giudizio. Autonomo, Cosciente. Ciò che ad oggi accade e accade ancora in Palestina non è facile capire. Comode e sterili “formulette” non servono ad alcuno. Men che meno agli attori reali e drammaticamente coinvolti nel conflitto. Mentre i media, dunque, ignorano o rimuovono deliberatamente le complesse radici del conflitto arabo-israeliano, affidandosi esclusivamente alle cronache degli inviati speciali o alle dubbie competenze di “esperti politici o militari” che danno spesso l’impressione di non aver mai messo piede in Palestina, il riferimento emotivo al tema dell’antisemitismo e dell’Olocausto e una latente ostilità nei confronti del mondo islamico impediscono ai più una valutazione razionale delle responsabilità politiche degli attori coinvolti: gli Stati Uniti, Israele, i Paesi arabi, le organizzazioni palestinesi.

Militanz CdP Collettivo Politico per l’Autorganizzazione sociale denuncia fermamente la “sapiente disinformazione” diffusa dai mezzi di comunicazione ufficiali in merito a una questione sì complessa e delicata, nonché la scelta vergognosa operata dal Governo italiano di rendere omaggio ufficialmente allo Stato sionista d’Israele, in occasione della ricorrenza del 60° anniversario della sua fondazione, invitandolo come “ospite d’onore” della Fiera del Libro a Torino, in questi mesi. Troviamo che sia assolutamente inopportuno, oltre che deviato e deviante, “festeggiare” la nascita d’uno Stato che rende un intero Popolo – quello palestinese – straniero nella sua stessa terra, forastiero in casa propria, forzatamente in armi per rivendicare e poi riconquistare ciò che gli era già proprio di diritto. A questo Popolo va la nostra solidarietà attiva e militante, oltre che tutto il nostro rispetto per la dignità e la determinazione con cui continua a lottare senza posa.
Tanto per quanto attiene alle nostre facoltà d’intendimento e capacità militanti, ci dichiariamo fin d’ora parte attiva nel movimento di boicottaggio della Fiera del Libro di Torino e di ogni attività ad essa connessa.

Nessuna equidistanza, a nostro avviso, è consentita. Oppressori contro oppressi, sfruttatori contro sfruttati, aguzzini contro vittime. Noi sappiamo, abbiamo scelto da che parte stare!
Per Noi il 2008 è e resta anno della Palestina! Anniversario dell’espropriazione forzata per mano israeliana della sua terra ed insieme anno del riscatto d’un Popolo sovrano e fiero, teso sempre alla Conquista ed alla Vittoria.

PALESTINA LIBERA! PALESTINA ROSSA!

Collettivo Politico MILITANZ Casa del Popolo
Via Francesco Girardi, 22 Sant’Antimo (NA)

sabato 15 marzo 2008

8 MARZO TUTTO L'ANNO!

L’oppressione delle donne ha le sue basi nel modello sociale imposto e determinato dalla società borghese. Trova le sue radici nel processo materiale di produzione e riproduzione capitalistica.
Il sistema di doppio sfruttamento cui le donne sono assoggettate – quello che, da una parte, utilizza le donne nel loro valore d’uso in qualità di riproduttrici di forza lavoro e forza lavoro esse stesse e, dall’altro, taglia la spesa sociale e i servizi di pubblica utilità come i consultori familiari, la sanità pubblica ect. utto a vantaggio del profitto di privati imprenditori – rappresenta la base materiale sulla quale intervenire, costruire massa critica, ricostruire segmenti importanti della più generale lotta di classe.

Non si tratta di mera rivoluzione simbolica, sterile rivendicazionismo di genere o, men che meno, strumentale terreno di campagna elettorale.
Si tratta invece di un impegno costante, quotidiano, per riaffermare il diritto della donna ad autodeterminare il proprio corpo, decidere della propria vita, scegliere il proprio futuro.
Si tratta della difesa del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza (L.194/78) che oggi viene messo in discussione dagli apparati politici e vaticani più oscurantisti e retrogradi.
Si tratta di lottare per la riappropriazione del ruolo dei consultori, per una sanità pubblica e di qualità, per il diritto stesso all’esperienza della libera, consapevole genitorialità.
Si tratta, in definitiva, di ricollegare tutti gli obiettivi di emancipazione sociale delle donne agli obiettivi più generali della lotta emancipatrice degli oppressi.
Riprendere, dunque, il dibattito sul ruolo della famiglia nella società borghese quale primo luogo di controllo e repressione di una donna troppo spesso ridotta a mero “angelo del focolare” ed impedita, pertanto, nella sua libera creatività, intellettualità, professionalità, significa ripensare e praticare un passaggio importante delle aspirazioni di liberazione e di riscatto del Popolo lavoratore tutto.

Approfittare delle faville di coscienza critica accese nei soggetti subalterni dell’attuale società dalla lotta politica corrente, per elevare tale coscienza a coscienza politica apertamente rivoluzionaria, il compito di quanti non si rassegnano ad un presente di oppressione in una società classista, ma tenacemente resistono e continuano a lottare per un’alternativa di Classe, di Sistema, di Potere.
In una sola espressione: lotta delle donne e lotta di classe sono inscindibili, nell’ottica della prospettiva della costruzione della società socialista.

MARTEDI 18 MARZO 2008
BANCHETTO DI CONTROINFORMAZIONE

presso mercato cittadino - ore 10 - p.le antistante Staz. FS S.Antimo (NA)

Casa del Popolo MILITANZ Collettivo Politico
via Francesco Girardi 22 - S. Antimo (NA)

venerdì 14 marzo 2008

UN SERIAL KILLER CHIAMATO CAPITALISMO

Pubblichiamo, condividendone contenuti, analisi e prospettive di lavoro, il testo del comunicato con il quale il Collettivo Internazionalista di Napoli lancia l'iniziativa di denuncia politica e sociale contro la "guerra del Lavoro" e il quotidiano tributo di sangue imposto a lavoratori ed operai dall'ansia di profitto dei padroni e i loro accoliti.

Militanz Cdp Collettivo Politico per l'Autorganizzazione sociale sostiene e promuove il comunicato, nonché l'iniziativa stessa qui di seguito riportata:

"Sono veri e propri omicidi seriali quelli che il capitalismo commette quotidianamente, seriali perchè le vittime rispondono a una comune caratteristica, essenziale: l'appartenenza alla classe lavoratrice. In questo periodo, dopo le tragedie annunciate della Thyssen-Krupp a Torino o, più di recente, degli operai morti a Molfetta, a destra e a "sinistra", partiti e sindacati insieme si sono affannati a piangere, a urlare che "Mai più!", che un fatto del genere è "indegno di un paese civile": ma i lavoratori purtroppo sanno bene che morire di lavoro non solo è "degno", ma è anche connaturato al modo di produzione capitalistico. 1250 morti sul lavoro nel 2006 soltanto in Italia (dati INAIL), 4397 lavoratori uccisi nel 2004 nei paesi dell'Unione Europea (dati Eurostat), 6000 lavoratori al giorno nel mondo (dati ILO): si tratta di cifre incredibili, soprattutto se si pensa che i dati si riferiscono soltanto ai lavoratori regolari, i cui incidenti sono denunciati; in nessuna statistica comparirà mai, invece, il lavoratore a nero, magari un immigrato irregolare, caduto da un impalcatura e privato anche della sepoltura, per evitare al padroncino "situazioni d'imbarazzo". A questi numeri, già altissimi, si aggiungono le cifre incalcolabili degli infortunati e di coloro che contraggono malattie invalidanti (quasi 4 milioni nel 2004 solo in Europa, più di un milione due anni fa in Italia), molti dei quali hanno la sventura di morire più tardi, in conseguenza di questi "incidenti", e per il fatto di non essere tecnicamente "a lavoro" al momento del decesso non saranno mai conteggiati.

I lavoratori giocano tutti i giorni una partita dove chi vince guadagna un altro giorno di sfruttamento, chi perde invece viene ucciso: è forse eccessivo definirla una guerra? Il numero di militari americani morti in Iraq tra il 28 Giugno 2004 e il 28 Giugno 2005 è 893, meno di quanti - nelle fabbriche, nei cantieri, nei campi - sono morti in Italia nello stesso lasso di tempo, due anni dopo.

Come se non bastasse, bisogna considerare che gli ispettorati del lavoro, già di per sé non sufficienti, sono stati negli ultimi anni sostituiti nelle funzioni, tanto in Italia quanto in Europa, da aziende incaricate di effettuare i controlli, giungendo così all'assurdo che è il padrone stesso a certificare di essere in regola con le norme... come chiedere all'acquaiolo se l'acqua è fresca!
La sostanza del problema è che la "sicurezza sul lavoro" è un fattore inversamente proporzionale ai tempi e carichi di lavoro ferocemente imposti dalle esigenze di profitto, ulteriormente aumentati negli ultimi anni grazie alle cosiddette "riforme" del mercato del lavoro adottate per rispondere alla crisi: estensione degli straordinari, allungamento dell'orario di lavoro, cottimizzazione del salario, sono queste le armi "bianche" del capitale. Come può un lavoratore, sottoposto a turni massacranti, costretto a fare straordinari quotidiani, rispettare contemporaneamente le complesse misure di sicurezza di cui, naturalmente, è il solo responsabile?

È evidente, dunque, che la lotta per non morire di lavoro non può essere scissa da quella più generale per il miglioramento delle condizioni lavorative, la conquista di un lavoro stabile e sicuro, la difesa dei diritti faticosamente conquistati e messi in discussione dagli ultimi, violenti attacchi del capitale alla classe; è evidente che se non si lavora per la ricomposizione del proletariato, per ricostruirne le basi di autorganizzazione e le capacità di lotta, per provare, infine, a rovesciare i rapporti di forza tra le classi, nessun lavoro sarà mai "dignitoso", meno che mai sicuro."

Contro gli omicidi "bianchi", rafforziamo le nostre lotte!

VENERDI 14 MARZO
PROIEZIONE VIDEO - ASSEMBLEA PUBBLICA
ore 18.00 presso sede in Vico Fico al Purgatorio 13 - Napoli
(da P.tta Nilo: primo vicolo a sinistra su Via S. Biagio dei Librai)

COLLETTIVO INTERNAZIONALISTA DI NAPOLI

lunedì 10 marzo 2008

I VOLTI DELL'AFRICA. VIAGGIO AL CENTRO DELLA TERRA.

Militanz CdP Collettivo Politico per l'Autorganizzazione sociale segnala:

"..non si parla di Africa, ma di alcune persone che vi abitano...del tempo...trascorso insieme. L'Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere. E' un oceano, un pianeta a se stante, un cosmo vario e ricchissimo. E' solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamiamo Africa. A parte la sua denominazione geografica, in realtà l'Africa non esiste."
(Ryszard Kapuscinsky)

MOSTRA FOTOGRAFICA
"I VOLTI DELL'AFRICA.
VIAGGIO AL CENTRO DELLA TERRA"
(di Adele Fenizia)

inaugurazione 11 marzo 2008
presso Internet Bar, P.za Bellini 74
NAPOLI

venerdì 7 marzo 2008

8 MARZO. NON C'E' FESTA SENZA LOTTA!

l’8 marzo 1908, 129 donne, operaie in lotta per il contratto, impiegate alla Cotton, industria tessile di New York, morirono nello stabilimento occupato a causa di un incendio doloso.
Un convegno femminista internazionale del 1919, a imperitura memoria di quella tragedia, stabilì una giornata di commemorazione delle vittime del rogo e, insieme, una giornata di lotta per i diritti delle donne tutte. Nasceva l’8 Marzo. Era la Festa della Donna.

Ad oggi, l’oppressione della donna assume nuova e rinnovata rilevanza economica: una società borghese che scarica i costi del privilegio di pochi in termini di contrazione della spesa sociale innanzitutto a danno delle donne (si pensi alla privatizzazione del sistema sanitario, degli asili nido, dei consultori) vorrebbe continuare a richiuderle nella sfera del privato “esaltandone” ipocritamente il ruolo di “riproduttrici” ed “angeli del focolare”.
Intanto si moltiplicano gli attacchi condotti al cuore del corpo sociale stesso della donna: l’approvazione della legge sulla procreazione medicalmente assistita (PMA, L.40/04, varata dal governo Berlusconi con la complicità di parte consistente del centrosinistra) mette in discussione la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza (L.194/78). Conferma l’evidente disprezzo da parte degli apparati più conservatori, oscurantisti e retrogradi del ceto politico italiano per i diritti e la dignità delle donne e per le conquiste storiche del movimento operaio e femminista. E di nuovo prende fiato l’arroganza del peggior integralismo cattolico, mentre Istituzioni, ormai deboli e incapaci di tutelare diritti fondamentali come quello alla salute, protezione sociale, autodeterminazione, si dimostrano sempre più estranee alle esigenze ed aspirazioni di emancipazione e di riscatto del Popolo lavoratore tutto.

Insistere allora oggi ancora su un piano di rivendicazione solamente istituzionale, piuttosto che organizzare attivamente il movimento reale di lotta e agitazione, significa, rinchiudersi in una dimensione meramente testimoniale, rassegnarsi passivamente al “gioco” delle maggioranze trasversali in Parlamento che utilizzano temi importanti come l’autoregolazione del corpo sociale delle donne per mera propaganda elettorale, lasciarsi alle spalle rivendicazioni di rappresentanza diretta e reale delle istanze delle donne per poi magari limitarsi a chiedere “posti in quota rosa”, riserva ceduta di grazia da Istituzioni che pur mantengono, negli snodi centrali delle articolazioni di comando e di controllo, il loro carattere prettamente monosessuato, ad appannaggio di classi dominanti e del mercato.

Occorre dare, invece, concreto sostegno alla battaglia per il controllo autonomo delle donne sul loro corpo e sulla propria identità di genere e di classe. Occorre lavorare per la difesa di una rappresentanza reale delle istanze di liberazione ed autodeterminazione. Occorre difendere davvero i diritti conquistati con anni di dure lotte del movimento operaio e femminista!

Festa della donna oggi è pertanto non mero simulacro formale ma giornata di lotta e di rivalsa contro le condizioni di sfruttamento imposto dalla disciplina sociale del Capitale così come contro i falsi moralismi con i quali si cerca di manipolare l’opinione pubblica per plasmarla agli interessi di classi dominanti e i loro apparati di coercizione ideologica manifesta o strisciante.

NO alla riapertura del mercato sul corpo delle donne!

NO alla mercificazione e all'esclusione sociale!

PER la difesa della 194/78

PER l'autodeterminazione!


Collettivo Politico MILITANZ Casa del Popolo
via Francesco Girardi 22 - Sant'Antimo (NA)

giovedì 6 marzo 2008

RIPRENDIAMOCI L'8 MARZO!

RIPRENDIAMO LA LOTTA!

Perchè ogni donna possa scegliere liberamente del proprio corpo, vita, futuro. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una vergognosa campagna dicriminalizzazione dell'aborto da parte delle forze cattoliche e daesponenti politici di ogni colore. L'equiparazione aborto=omicidio, un tempo appannaggio esclusivo della Chiesa, è entrata a far parte del vocabolario dei nostri politici che, dietro allo scudo (crociato) della "difesa della vita", mascherano i loro attacchi vergognosi ai nostri diritti.

La lista di Giuliano Ferrara Aborto? No, grazie!, il raid poliziesco nel Policlinico di Napoli dove una donna appena uscitadalla sala operatoria in seguito ad un regolare aborto terapeutico eancora sotto l'effetto dell'anestesia è stata interrogata e indottainvano a confessare un presunto aborto clandestino e la decisionedella Regione Lombardia di non praticare l'aborto terapeutico oltre le 22 settimane e tre giorni dal concepimento del feto (invece di 24), non sono che gli ultimi, grotteschi, esempi di come la legge 194sull'interruzione di gravidanza sia al centro di una violentaoffensiva scatenata da più fronti. Il primo fronte, più esplicito edevidente, è quello su cui si cercano di modificare e limitare perlegge i tempi e i modi dell'interruzione di gravidanza (equiparare idiritti dell'embrione a quelli della madre, ridurre i giorni entro iquali è possibile effettuare l'intervento, rendere obbligatoria larianimazione del feto in seguito ad un aborto terapeutico). Ma gli attacchi più pericolosi sono forse proprio quelli meno manifesti:cercare di modificare o abrogare una legge che lo sancisce non èl'unico modo per sopprimere un diritto; un diritto può essere infattinegato per legge, ma anche soltanto di fatto: rendere complesso, inutilmente doloroso e di difficile accesso l'aborto significa negare la possibilità effettiva di questa scelta.

In questo senso il dilagare dell'obiezione di coscienza (estesa anche al personale paramedico), ilcattivo funzionamento dei consultori e delle strutture ospedaliere, lamancata introduzione dell'aborto farmacologico (tramite l'assunzionedella RU486) sbandierata dal Governo Prodi e mai messa in pratica, smantellano dall'interno la legge 194. La scelta, già di per sédolorosa, di abortire è resa poi ancora più complessa e gravosa psicologicamente dai continui anatemi della Chiesa, dai volontari del"movimento per la vita" che, in agguato nei consultori e negliospedali, cercano di fare pressioni e di scatenare sensi di colpanelle donne, e dai partiti politici che hanno fatto dell'antiabortismo una bandiera.

Il corpo delle donne continua ad essere un campo di battaglia sul quale guadagnare voti e consensi, su cui speculare e fare campagna elettorale, soprattutto da parte della sinistra istituzionale, come la"sinistra arcobaleno", che tenta di recuperare consensi dopo il totale e organico appoggio al Governo Prodi. A pagarne il prezzo siamo noi: questa operazione propagandistica si compie a discapito della dignità e della salute delle donne e del loro diritto ad autodeterminarsi, discegliere del proprio corpo e del proprio futuro.La nostra società si basa sullo sfruttamento e sulla violenza, ma, perquanto riguarda la donna, questo sfruttamento e questa violenza sonodoppi. Non solo le donne sono le vittime per eccellenza dellepolitiche tese a limitare e condizionare sempre più le scelteindividuali, ma finiscono per subire con doppia forza i processi diprecarizzazione del lavoro e smantellamento dello stato sociale. Costrette a lavorare sia in casa che fuori, si trovano di fronte ad un mondo del lavoro che riserva loro gli impieghi più precari e peggio retribuiti (rendendole, di fatto, sempre dipendenti e subordinate "all'uomo di casa"), a casa devono poi accollarsi la gestione della famiglia e spesso subire la violenza fisica e psicologica di un uomo che, sfruttato e vessato sul lavoro, riproduce all'interno delle muradomestiche lo stesso rapporto di sottomissione nei confronti della sua compagna che (così gli è stato insegnato a fatti e a parole) ha il ruolo e il dovere di sopportare la sua violenza.

Perchè le donne non siano più oppresse!
Perchè gli uomini non siano più oppressori!

Mobilitiamoci per difendere le conquiste delle donne, solo cosìdifenderemo i diritti di noi tutti! Scendiamo in piazza in difesa di quei diritti che nelle piazze sono stati conquistati!
  • Contro la campagna di criminalizzazione dell'aborto

  • Contro gli attacchi alla autodeterminazione della donna

  • Per l'adozione della pillola abortiva RU486

  • Per il potenziamento ed il radicamento dei consultori.
SABATO 8 MARZO 2008
PRESIDIO ANTISESSISTA
Piazza del Gesù - Napoli - ore 10

COORDINAMENTO ANTISESSISTA NAPOLETANO

mercoledì 5 marzo 2008

LA GUERRA DEL LAVORO

Giorno dopo giorno avanza senza posa la guerra non dichiarata contro lavoratori ed operai. Ancora morti sul lavoro. Ancora “morti bianche”.
Stavolta è toccato a Molfetta, in Puglia. Altre quattro vite spezzate. Altri Quattro operai vittime dei quegli istituti dello Stato preposti alla vigilanza sul rispetto dei vincoli di sicurezza sul lavoro e che – per non osteggiare incrementi di produzione e produttività voluti dai padroni e i loro “comitati d’affari”, di volta in volta, in alternanza al governo del Paese – vengono meno ai propri compiti, alle proprie responsabilità.

Mentre la “macchina della retorica da coccodrillo” già si è messa in moto (imprenditori, politici, sindacati collaborazionisti, stampa borghese, tutti stretti in un solo abbraccio di commozione per il “latte ormai versato”!) il fenomeno degli omicidi sul lavoro diventa dato empirico e strutturale del mondo del lavoro tutto, dinamica concreta e parossistica dell’attuale modo di produzione capitalistico.
Fabbriche, campi, cantieri, moli, strade diventano così teatro di guerra permanente, dove la vita di chi lavora risulta ormai essere “sacrificabile” sull’altare del profitto dei padroni e chi li rappresenta, i ritmi nevrotici che impongono, la sicurezza che negano al fine di abbattere, ancora e ancora, i cosiddetti costi di produzione. La vita stessa è considerata costo di produzione. Ogni pausa, un costo in più, un guadagno in meno.
Ed è proprio in questo modo che viene imposto ai lavoratori e “incentivato” il lavoro straordinario a oltranza che esaurisce, conclude e poi cancella tempi di vita e d’esistenza. E chi lavora continua a lavorare. Sempre più, sempre più velocemente. Poiché precarietà incalza e la soglia di povertà minaccia ognuno del lavoro dipendente.

Inutile ed ozioso è imputare quanto “normalmente” accade ad una presunta arretratezza delle modalità produttive proprie all’impresa nazionale. È, invece, vero il contrario: proprio l’incremento esponenziali di tempi e modi della produzione, la moltiplicazione progressiva delle ore lavorate, la polivalenza delle mansioni preliminarmente parcellizzate all’occorrenza al fine di tenere i macchinari in funzione senza sosta, rappresentano le caratteristiche concrete, visibili, immanenti all’intensificazione dello sfruttamento del lavoro nel tempo della “mordernizzazione” della competitività produttiva globale! È proprio dentro il meccanismo della competitività capitalistica trasnazionale che sistemi come il nostro dell’”Impresa Italia”, un sistema fondato sullo sfruttamento progressivo che causa morte ed infortunio, rende l’accumulazione di profitto fattore ulteriormente criminale e criminoso.
Altrettanto inutile e “ingannevole” è il proclama di politici corrotti e asserviti al Capitale di nuovi Decreti/Legge in materia di Lavoro da varare col governo che verrà. Governo di banchieri e Confindustria, governo di padroni. Governo di assassini.

Militanz Cdp Collettivo politico per l’Autorganizzazione sociale condanna senz’appello la “silenziosa” guerra condotta contro il Lavoro dai padroni e i loro accoliti al Governo. Condanna la guerra non dichiarata contro lavoratori ed operai considerati dall’attuale sistema economico e produttivo come meri segmenti di lavoro ricombinante, sostituibili, in qualsiasi momento, da forza-lavoro di riserva funzionalmente inoccupata e, pertanto, ancor più ricattabile e precaria.

Una risposta di classe e di massa, come generalizzazione del conflitto e organizzazione della violenza dello scontro già unilateralmente condotto da padroni e governi, diventa oggi più urgente che mai. Ai sindacati non concertativi, alle realtà di lotta e di lavoro non asservite ai disegni del Capitale, agli elementi più coscienti ed avanzati impegnati nella difesa ed estensione dei diritti sociali del lavoro, ai Compagni tutti, il compito urgentissimo di preparare tale risposta. Risposta di lotta e di rivalsa contro chi oggi mercifica la vita per “riviltalizzare” il mercato.

lunedì 3 marzo 2008

PER UN COMPAGNO, PER UN AMICO. PER MICHELE FABIANI

Associandoci in un accorato appello al comunicato di solidarietà della Rete Perugina Antifascista per il Compagno Michele Fabiani (detto Mek), da quasi sei mesi detenuto nelle “patrie galere” a regime di massimo isolamento e carcere duro con accuse di terrorismo ed eversione non suffragate da alcuna prova di sorta, lo riproponiamo integralmente qui di seguito a ché possa avere massima diffusione, contribuire a sviluppare reti di solidarietà reale fuori da ogni formalismo, informare sulla verità dei fatti, sapientemente sottaciuta dai media e dallo Stato, dal muro di gomma che hanno imposto, dalle menzogne funzionali che hanno diffuso.

Questa è la storia di uno di noi...
Gridiamolo a tutti, gridiamolo forte!
Prima che diventi la storia di ognuno di noi...
Questa è la storia di Michele Fabiani, sequestrato dallo Stato lo scorso 23 ottobre a Spoleto, arrestato dalla banda di Ganzer
<http://www.repubblica.it/2003/j/sezioni/cronaca/crimiros/crimiros.html> e seppellito da una coltre di silenzio sulle reali motivazioni della montatura Brushwood <http://piemonte.indymedia.org/article/1042>, tempista e programmata come l'insabbiamento della morte violenta in carcere di Aldo Branzino http://disc.yourwebapps.com/discussion.cgi?disc=188359;article=28549;title=LOCANDA%20Del%20GORILLA%20SAGGIO, una settimana prima dell'arresto dei compagni spoletini.
Questa è la storia di un compagno anarchico, che sta scontando in carcere le sue idee.
Colpevole di amare la verità e la libertàColpevole di essersi schierato e aver lottato sempre a viso aperto per la giustizia sociale, contro la tortura e la morte da carcere e oltre il carcere.
Colpevole di aver denunciato e documentato una scomoda realtà: l'importazione di avanzati sistemi tecnologici di tortura già ampiamente sperimentati negli USA e in altri paesi di questa "civile" Europa, "esportatrice di democrazia".
Colpevole di aver dato spazio alle denunce sullo sperpero di denaro pubblico da parte dei palazzi del potere.
Colpevole di non essersi arreso davanti al saccheggio militare e padronale delle risorse umane ed ambientali e di aver partecipato in prima persona ai movimenti popolari per difendere terra, acqua, aria, salute pubblica dalla mercificazione del profitto e dalla devastazione del capitaleColpevole di non rinunciare alla propria identità, incompatibile con l'orrore dell'ingiustizia, della guerra e della repressione.
Di desiderare una società giusta, un modo senza sfruttamento, senza confini e senza galere.
Colpevole, per tutto questo, di essere un sovversivo.
Perché desiderare un mondo migliore e lottare per esso, senza sentirsi dire "c'era una volta la neve" e raccontare alle future generazioni "c'era una volta l'acqua", è sovversivo.

E allora siamo tutti orgogliosamente sovversivi! Non lasciamo da soli i compagni in galera per le loro idee! Perché le loro idee sono le nostre. Lo denunciammo a marzo dello scorso anno e lo ripetiamo ora Michele è un perseguitato politico. Il coraggio della verità gli è costato prima una perquisizione arbitraria con tanto di maltrattamenti, minacce ecc. da parte dell'arma dei carabinieri, poi una denuncia per calunnia da parte del maresciallo Biagioli, poi ancora l'arresto, con un incredibile spiegamento di forze militari e mediatiche.Il carattere persecutorio di questa montatura mediatico-militare-giudiziaria è confermato dalla campagna di criminalizzazione preventiva lanciata dalla stampa locale in agosto nei confronti di Michele, quando si cercò di legittimare la perquisizione arbitraria, le minacce e i maltrattamenti subiti e denunciati politicamente dal compagno in marzo, con un presunto interrogatorio sui fatti per cui oggi è accusato di "terrorismo". Michele smentì prontamente gli articoli dei pennivendoli al servizio dell'Aisi (ex Sisde), di Ganzer e della Procura di Perugia, ma sta di fatto che già a marzo dello scorso anno (prima ancora dei proiettili alla Lorenzetti) avevano deciso cosa fare di lui e i media lo sapevano almeno dal mese di agosto.
Questi sono i fatti e hanno la testa dura. Ognuno di noi può trarne le conclusioni che vuole, ma non può prescindere da essi, altrimenti fa il gioco del potere, come chi, ingenuamente o in malafede, si è reso complice di questa montatura, dubitando sull'innocenza del compagno con il silenzio, con le allusioni o con dichiarazioni riduttive della sua identità e la sua coerenza olitica. Michele è una persona limpida e non merita né l'uno né le altre. E' un compagno che ha dato tanto e merita tutta la nostra solidarietà. Perché la lotta per la libertà e la giustizia sociale è patrimonio di tutti gli antifascisti, i comunisti, gli anarchici, gli antimperialisti e i proletari consapevoli della loro forza rivoluzionaria. E' patrimonio popolare e non può essere "redento" all'obbedienza con queste operazioni terroristiche, della serie "puniscine uno per educarne 100". La nostra solidarietà, come Rete Antifascista Perugina, va oltre la formalità, giusta e sacrosanta, che impone un rapporto di intenti ntifascisti. E' una solidarietà che sfiora l'amicizia. E' una solidarietà di classe, che parte dal basso, dai bisogni e dai timori dei proletari. Una solidarietà che nessuno ha pagato perché esista e nessuno ha delegato ad un'urna elettorale perché la rappresenti. E' una solidarietà che non si vende e che non può tradire.

DISABITUIAMOCI AL SILENZIO, VOCE AI SENZA VOCE!
SOLIDARIETA' AL COMPAGNO MICHELE!
SOLIDARIETA' AI RIBELLI!

Rete Antifascista Perugina – Alla Riottosa


DICHIARAZIONE DI MILITANZ CdP PER IL COMPAGNO MEK:

In un momento in cui l'opposizione sociale nel nostro Paese viene affrontata, dagli apparati coercitivi dello Stato, in termini di "repressione preventiva", carcere e manganelli equivalendo, appunto, contraddizioni di ordine sociale a questioni inerenti alla "pubblica sicurezza", ordine pubblico, disciplina sociale imposta dai padroni e i loro accoliti;
in un Paese in cui le finte “rappresentanze” politiche, costruite su clientele, carrierismi, giochi di potere, comprimono gli spazi di reale espressione democratica del Popolo, subordinando gli interessi generali di classe e di massa ai privilegi particolari di casta e proprietà;
in un contesto di generale crisi e regressione degli spazi di agibilità politica e sindacale per chi lotta per un salario giusto, per una vita dignitosa, per la libertà dell'associazione civile e politica, per la giustizia sociale;
ferma dev'essere la nostra lotta, la nostra azione di solidarietà militante ed attiva contro ogni forma di repressione sociale, sia essa giudiziaria, mediatica, fisica.
Ferma dev'essere la nostra condanna di ogni attività reazionaria condotta a danno di singoli attivisti così come delle masse popolari tutte.
Ferma dev’essere la nostra lotta contro ogni attività attività antipopolare ed antioperaia promossa da governi, siano essi di centrodestra o di centrosinistra, medaglie della stessa faccia degli interessi classisti e padronali.
Ferma, in definitiva, la nostra convinzione e determinazione che non ci sarà Pace se non vi sarà Giustizia!
Oggi che la criminalizzazione di tutti coloro che non intendono allinearsi “all’ordine costituito” diventa manifesto ideologico della nuova sinistra istituzionale in combutta con le destre ormai già storiche, necessario è dare dimostrazione della giustezza delle rivendicazioni di chi lotta per un mondo nuovo. Rivendicare il diritto alla libertà di parola e associazione.
Esprimere solidarietà attiva e militante al Compagno Mek, uno di noi.

Qualcuno ha detto: “È pericoloso aver ragione dove le autorità costituite hanno torto”. Eppure Noi avanzeremo sul terreno che ci siamo dati! E avanzeremo poiché la forza della nostra determinazione sta nella giustezza della nostra Causa.