mercoledì 26 marzo 2008

2008 ANNO DELLA PALESTINA

Fin dal 1917, da quando La Gran Bretagna cominciò a indirizzare gli Ebrei verso la Palestina, presunta "terra senza Popolo" per un "Popolo senza terra", risultavano palesi gli interessi coloniali ed espansionisti del sionismo internazionale. Come è facile riscontrare già nelle dichiarazioni riportate sul memorandum di Lord Balfour, gli interessi della popolazione di cultura ebraica andavano ben oltre – anzi sarebbero persino passate sopra! – la sorte di "soli 70.000 Arabi con tutti i loro desideri e pregiudizi". Era cominciata, seguendo le tracce storiche e religiose del "Popolo Eletto", la costruzione della "Grande Patria nazionale Ebraica". Cominciava l'occupazione della terra di Palestina.

Quando nel 1948 prese corpo un vero e proprio Stato Israeliano, Stato confessionale a guida teocratica, gli Arabi furono cacciati dalla loro terra. Progressivamente. A mano armata. Agli Ebrei immigrati in Palestina veniva promessa non solo la "nazionalità", ma anche la terra e la casa "lasciata" dell'Arabo in fuga. Quasi un milione di Arabi fuga, in verità. In fuga dalla persecuzione, dalla messa al bando, dall'occupazione militare, dal rischio praticato di vero e proprio genocidio, da un piano di sterminio di massa organizzato su larga scala proprio da chi, vittima ieri, diventava carnefice dell'oggi. Una delle prime e più "fortunate" operazioni militari israeliani, infatti, si chiamò "fatto compiuto". Cosa che bene lascia intendere la mentalità e le ansie di rivalsa dei primi "pionieri israeliani". Uomini e donne, reduci dall'Olocausto contro di essi condotto dal III Reich, che molto avevano da guadagnare, poco da perdere. Uomini e donne, sopravvissuti alla barbarie nazi-fascista, orgogliosi di esser disposti a morire e morire ancora pur di ricostruire un loro "libero Paese" e, invece, divenuti essi stessi assassini in nome di quello stesso "libero Paese". Certi della volontà del loro Dio e, pertanto, incuranti dell'orrore del passaggio da una parte all'altra di quella sottile eppur nettissima "barricata".

Al contrario, il passaggio dalla politica dell'Havlagh (limitazione) a loro imposta con la forza e con il sangue alla politica della Vetekumah (rinascita) dell'intero Popolo ebraico, diveniva proprio la giustificazione etica e morale – nonché lo stesso puntello ideologico – della costruzione d'Israele come Stato, dell'usurpazione e della rapina della Palestina come terra. Giustificazione che faceva leva su un intero Popolo che ancora sentiva bruciare sulla pelle la repressione nazista come ultima, solo in ordine di tempo, di quelle subite nell'arco della storia complessiva degli Ebrei, delle accuse a loro mosse, delle congiure a loro imputate, delle ragioni tutte per cui, storicamente, furono sempre ghettizzati e poi scacciati. Giustificazione che trovava piena conferma nel concetto di Shoah (catastrofe) nei secoli subita e, poiché ormai memori delle incidenze della Storia a loro sì ostili, da fronteggiare con nuovo vigore e non rassegnazione. Al concetto di Shoah veniva così affiancato il mito dell’eterno riscatto ebraico. Era il mito del Vagevurah (eroismo) che, promanando dall’insurrezione ebraica del ghetto di Varsavia contro l’occupazione nazista, dava giustificazione apologetica a qualsiasi “risposta” d’Israele – considerata sempre legittima! – contro qualsiasi altro atto condotto a suo danno, qualsiasi altra possibile “catastrofe”, prima tra tutte il ritorno dei profughi Arabi in Palestina!

Questi concetti praticati vennero, col tempo, ricombinati artatamente all’occorrenza, di modo che, all’interno del movimento sionista, gli elementi più fanatici e estremisti (nazionalisti e religiosi) spazzassero via le pur considerevoli tendenze egualitarie e socialiste di parte delle prime comunità yddish immigrate in Israele. Le stesse basi di uno Stato segregazionista qual è oggi lo stato d’Israele stanno tutte in questi miti che hanno orientato, poi piegato e poi spezzato ogni presupposto di qualsivoglia convivenza. Di contro, dunque, le tendenze libertarie, collettiviste e federate dei primi Kibbuzzim (comunità agricole autogestite e antistatali) che avrebbero potuto rappresentare un modello economico di autorganizzazione produttiva fondato su un comune programma di liberazione sociale tra Arabi e Israeliani, fuori dalle astratte contrapposizioni nazionaliste e riconducendo quelle stesse artefatte contrapposizioni ai reali antagonismi di classe.

Ed è così che da più di 60 anni ormai, in Medio Oriente, in Palestina si combatte uno dei più atroci conflitti che la Storia abbia mai conosciuto. Una guerra, talora esplicita, talora strisciante e condotta su più piani (economico-militare, diplomatico-politico, ideologico) che matura in una strumentale “comunicazione a singhiozzo” dei media occidentali, più preoccupati di “fare/creare pubblica opinione” e poi censirla che non riportare “i fatti” a che ognuno possa fare di giudizio. Autonomo, Cosciente. Ciò che ad oggi accade e accade ancora in Palestina non è facile capire. Comode e sterili “formulette” non servono ad alcuno. Men che meno agli attori reali e drammaticamente coinvolti nel conflitto. Mentre i media, dunque, ignorano o rimuovono deliberatamente le complesse radici del conflitto arabo-israeliano, affidandosi esclusivamente alle cronache degli inviati speciali o alle dubbie competenze di “esperti politici o militari” che danno spesso l’impressione di non aver mai messo piede in Palestina, il riferimento emotivo al tema dell’antisemitismo e dell’Olocausto e una latente ostilità nei confronti del mondo islamico impediscono ai più una valutazione razionale delle responsabilità politiche degli attori coinvolti: gli Stati Uniti, Israele, i Paesi arabi, le organizzazioni palestinesi.

Militanz CdP Collettivo Politico per l’Autorganizzazione sociale denuncia fermamente la “sapiente disinformazione” diffusa dai mezzi di comunicazione ufficiali in merito a una questione sì complessa e delicata, nonché la scelta vergognosa operata dal Governo italiano di rendere omaggio ufficialmente allo Stato sionista d’Israele, in occasione della ricorrenza del 60° anniversario della sua fondazione, invitandolo come “ospite d’onore” della Fiera del Libro a Torino, in questi mesi. Troviamo che sia assolutamente inopportuno, oltre che deviato e deviante, “festeggiare” la nascita d’uno Stato che rende un intero Popolo – quello palestinese – straniero nella sua stessa terra, forastiero in casa propria, forzatamente in armi per rivendicare e poi riconquistare ciò che gli era già proprio di diritto. A questo Popolo va la nostra solidarietà attiva e militante, oltre che tutto il nostro rispetto per la dignità e la determinazione con cui continua a lottare senza posa.
Tanto per quanto attiene alle nostre facoltà d’intendimento e capacità militanti, ci dichiariamo fin d’ora parte attiva nel movimento di boicottaggio della Fiera del Libro di Torino e di ogni attività ad essa connessa.

Nessuna equidistanza, a nostro avviso, è consentita. Oppressori contro oppressi, sfruttatori contro sfruttati, aguzzini contro vittime. Noi sappiamo, abbiamo scelto da che parte stare!
Per Noi il 2008 è e resta anno della Palestina! Anniversario dell’espropriazione forzata per mano israeliana della sua terra ed insieme anno del riscatto d’un Popolo sovrano e fiero, teso sempre alla Conquista ed alla Vittoria.

PALESTINA LIBERA! PALESTINA ROSSA!

Collettivo Politico MILITANZ Casa del Popolo
Via Francesco Girardi, 22 Sant’Antimo (NA)