Sotto l’egida del centrosinistra liberale prima e del centrodestra reazionario poi, il processo di progressiva capitalizzazione dei servizi sociali essenziali alla pubblica utilità, nonché quello di privatizzazione forzata dei settori chiave dell’economia nazionale con la relativa concentrazione proprietaria dell’intero sistema del credito, hanno permesso la ricostituzione di una base materiale effettiva tesa a rafforzare l’influenza del capitale finanziario italiano in termini di proiezione politica tesa all’individuazione
de facto di governi, di volta in volta alla guida del Paese, garanti degli interessi dominanti in qualità di malcelati comitati d’affari.
Pur avendo sostenuto il governo dell’Ulivo per tutta la scorsa legislatura, la grande borghesia nazionale ha investito, oggi e nuovamente, sul
PdL, il "club-azienda" di proprietà di Berlusconi. Consapevole del suo ruolo di cerniera politico-operativa tra la conciliazione degli interessi particolari dei maggiori gruppi finanziari del Paese (
Mediaset, Mediolanum, Capitalia, Banca Intesa, etc.) e la più generale rappresentanza degli interessi della classe dominante, il padronato italico, su richiamo suadente del suo Presidente in carica
nouvelle madame Pompidour la sig.ra Marcegaglia, si appresta alla ridefinizione in senso neocorporativo dello Stato borghese.
D’altro canto, l’italica destra sempre incline a premer il "ventre molle" del Paese e gli istinti più egoistici ed individualisti che da esso promanano, ha costruito intorno a sé consenso generale, popolare addirittura. Strano davvero a dirsi, ma la perdita della ragione sociale delle sinistre di governo – o forse della ragione tout-court! – ha fatto sì che si sollevasse prepotente un nuovo e – ahinoi! – rinnovato vento di destra, spirato non solo dalle storiche pulsioni classiste ed anticomuniste della borghesia nostrana, quanto piuttosto da ampie fasce popolari costrette a condividerne griglie valoriali e sistemi culturali(?) a fronte di alternative "di sinistra" deboli, corrotte ed impotenti. O magari, più banalmente, dalla considerazione ovvia – e del tutto evidente agli intendimenti nazional-popolari – secondo cui "meglio un governo di destra che un governo di sinistra che fa quello che farebbe un governo di destra".
Programma e prossime leggi finanziarie del nuovo governo Berlusconi (il numero 4!), costitutivamente contrassegnate in senso reazionario, ereditano e sviluppano, infatti, le linee-guida del precedente governo di centrosinistra: l’attacco alla contrattazione operaia ed allo stato sociale, pur negli alterni "raccordi pacificatori" (a perdere!) col sindacato confederale, l’affondo al sistema scolastico, sanitario e pensionistico, si combinano con sempre più stringenti misure di restrizione degli spazi di agibilità politica e democratica e con la radicalizzazione autoritaria dell’apparato dello Stato. L’improvvisata Robin Tax, foglia di fico dietro la quale occultare – con fittizie manovre di tassazione aggiuntiva dei profitti dei signori del petrolio – il divario sempre più allarmante tra ricchezza e povertà, si presenta già ad ora come volontariamente insufficiente ad affrontare il problema dei redditi da lavoro dipendente e, men che meno, quello di una più equa ridistribuzione della ricchezza prodotta ed accumulata solo dai magnati del capitale. Questo mentre lo stesso Governo Berlusconi ha già preso a votare leggi ad personam per il suo capo, i suoi amici, gli amici degli amici: depenalizzazione del falso in bilancio, conferma dello scorso lodo Cirami e la relativa possibilità di scegliere la Corte da cui farsi processare fino a ricusare magistrati "non graditi" ad imputati eccellenti, impunità parlamentare per il Presidente del Consiglio e i suoi Ministri.
La linea di gestione di tale governo non ha mai conosciuto, tuttavia, un assetto stabile. Resta insoluta la contraddizione tra la necessità di fare fronte ad un blocco di interessi tanto esteso e l’esigenza di farlo entro i "paletti" del patto europeo di stabilità, peraltro in un momento in cui gli Accordi di Lisbona, per esempio, non sono mai stati tanto impopolari (recente il voto contrario del Popolo Irlandese, che, direttamente, si collega al voto contrario nel referendum popolare sulla Costituzione europea espresso anni or sono da quello francese ed olandese).
Queste difficoltà strutturali, che sottendono al quadro di una sorta di compromesso neobonapartista sottoscritto dal governo con il Popolo italiano, spingono il governo stesso a non cercare lo scontro frontale, pur avendo piena consapevolezza che solo l’attacco al lavoro dipendente e la compressione ulteriore dello stato sociale potrà riaprire, potenzialmente, i margini di mediazione geopolitica e ricompattamento al suo interno. Solo questione di tempo, dunque. Mentre il conflitto sociale, spontaneamente, avanza e sopravanza, si autoproduce e si riproduce, nel tasso "fisiologico" di lotta di classe che si dispiega nel Paese, così come in ogni società a "capitalismo avanzato". Si determina, oggi, in forma di resistenza spontanea, di non-collaborazione di settori popolari e di massa – in alcuni casi assolutamente consistenti! – con i disegni di speculazione ambientale, economica, finanziaria verticalmente imposti dall’alto dei potentati politici e malavitosi in concerto tra di loro e schierati, pertanto, a tutela dei loro unici interessi. Interessi – lo sappiamo! – fatti di appalti e clientele, voti di scambio (quelli si ai lor signori utili!) e favoritismi. Connivenze, in definitiva. Da Nord a Sud. Nessuna eccezione, nessun’isola felice..
In breve, alla progressiva stabilizzazione di questo governo corrisponde una progressiva ricaduta a destra delle sue politiche sociali, incoraggiate dalla paralisi subalterna e collaborazionista del centrosinistra e del sindacato concertativo.
La cacciata del Governo Berlusconi, dunque, diventa necessità inderogabile per la tenuta e la riconquista di diritti e delle garanzie sociali, delle libertà politiche ed agibilità realmente democratiche. Risponde all’interesse generale del movimento operaio e dell’intero blocco sociale antagonista interrompere il ciclo di fascistizzazione delle istituzioni e trovare uno sbocco unificante delle loro lotte. Fuori da meri "raccordi di cartello", soluzioni organizzativiste ed artefatte, operazioni di "ingegneria politica" quanto non di vera e propria alchimia..
Proletarizzazione di ampi settori della piccola-borghesia, precarizzazione delle condizioni di lavoro dei proletari, arretramento delle condizioni materiali di vaste masse popolari nel Mezzogiorno, rappresentano già, una minaccia potenziale di generale esplosione sociale.
Chi si è illuso di limitarsi ad una ordinaria opposizione istituzionale – quando ne ha avuto possibilità se non quando è andato addirittura al governo del Paese! – è stato smentito amaramente e "punito" giustamente nelle urne. Lavorare, invece, ad una straordinaria opposizione nel Paese, rafforzando, nelle lotte, le istanze di autonomizzazione delle rivendicazioni sociali e di classe, intensificare la richiesta di sciopero generale non concertato, moltiplicare tutte le azioni di resistenza popolare per estenderne il coefficiente di radicalità, intensità e durata in funzione antigovernativa, sono, invece, la base reale sulla quale recuperare il ritardo della politica rispetto alla giusta domanda di rappresentanza diretta posta e imposta dalle fasce popolari, la base reale della controffensiva di classe, la base reale dell’opposizione sociale a qualsiasi altro governo dei padroni sostenuto dai padroni. Per una chiara prospettiva anticapitalistica quale Alternativa di Classe, di Sistema, di Potere.
Collettivo Politico MILITANZ Casa del Popolo
per l'Autorganizzazione sociale