La necessità di assumere una posizione chiara, inequivoca e non opportunistica sulla questione sociale relativa alla reale rappresentanza sindacale, diretta, autonoma e di classe, di operai e lavoratori, nonché delle nuove fasce del precariato sociale, è ormai indifferibile. La costruzione di un ampio fronte sociale antagonista, di massa e di classe, passa per la soluzione di questa questione. Il nodo strategico per i comunisti è oggi come colmare questo vuoto.
Negli ultimi decenni i lavoratori hanno subito pesanti sconfitte, subendo un arretramento più o meno progressivo delle loro condizioni di vita e di lavoro, sì come definito da anni di politiche classiste, antipopolari e antioperaie articolate e promosse, trasversalmente, da Centrosinistra e Centrodestra, poli dell'alternanza borghese di governo. La controriforma del mercato del lavoro, già avviata durante il primo governo Prodi con l'approvazione del pacchetto Treu, fu assecondata ed eretta poi a sistema delle relazioni tra le parti, dal governo D'Alema che si spinse, con la proposta di sanzionare gli scioperi del pubblico impiego e con il nuovo patto sociale, a creare un clima di repressione di tutte le residue resistenze nei luoghi della produzione e dei servizi. Con le operazioni avviate dal Centrosinistra di governo quanto a maggiori privatizzazioni degli enti ancora pubblici e liberalizzazione complessiva dei settori strategici dell'economia del Paese, smantellamento dello Stato sociale e tentativo di cancellazione dello Statuto dei Lavoratori, il secondo governo Berlusconi ha potuto far passare facilmente il Libro Bianco sul lavoro ed il Patto per l'Italia (Legge 30): il lavoratore, l'operaio, costretto all'ordine di esigenze proprietarie e di profitto a lui estranee poiché proprie a classi dominanti e del mercato, dev'esser disponibile ad una totale precarietà e flessibilità, a costo quasi zero per l'azienda, senza tutela e sicurezza, senza diritti sul luogo di lavoro. Sottoposto a regime di supersfruttamento e, volenti o nolenti, antesignano di quella che rapidamente si appresta ed essere la "normalità nuova" della condizione del Lavoro. Così il "precario", nella condizione di generalizzazione della precarietà quale norma del funzionamento generale del mercato del lavoro, non sarà più tale, nella misura in cui non esisteranno più formule di lavoro stabile, stabilizzato o stabilizzanti rispetto alle quale esser, appunto, "precari"...
A completare il quadro risulta la strategia consociativa dei vertici del sindacalismo collaborazionista che, attento più agli interessi complessivi dell'azienda che a quelli della classe, ha sguarnito completamente il fronte di tenuta storica del movimento operaio, anche rispetto al semplice terreno della contrattazione. Questa la cosiddetta "modernizzazione" del mercato del lavoro. Questo il segno vero di un capitalismo che non può essere "corretto" né può avere volto umano…
Eppure il risultato relativamente positivo del sindacalismo extraconfederale di sinistra nei rinnovi delle Rsu nel pubblico impiego e nelle grandi aziende metalmeccaniche, è il segno che i lavoratori non hanno imboccato ancora il sentiero della rassegnazione e dell'integrazione ma non ha risolto – né può farlo in sé – il problema politico dell'assenza di tensione e di un progetto anticapitalistico, apertamente rivoluzionario, capace di ridare entusiasmo e fiducia alle classi lavoratrici e alle nuove fasce del precariato sociale.
Negli ultimi decenni i lavoratori hanno subito pesanti sconfitte, subendo un arretramento più o meno progressivo delle loro condizioni di vita e di lavoro, sì come definito da anni di politiche classiste, antipopolari e antioperaie articolate e promosse, trasversalmente, da Centrosinistra e Centrodestra, poli dell'alternanza borghese di governo. La controriforma del mercato del lavoro, già avviata durante il primo governo Prodi con l'approvazione del pacchetto Treu, fu assecondata ed eretta poi a sistema delle relazioni tra le parti, dal governo D'Alema che si spinse, con la proposta di sanzionare gli scioperi del pubblico impiego e con il nuovo patto sociale, a creare un clima di repressione di tutte le residue resistenze nei luoghi della produzione e dei servizi. Con le operazioni avviate dal Centrosinistra di governo quanto a maggiori privatizzazioni degli enti ancora pubblici e liberalizzazione complessiva dei settori strategici dell'economia del Paese, smantellamento dello Stato sociale e tentativo di cancellazione dello Statuto dei Lavoratori, il secondo governo Berlusconi ha potuto far passare facilmente il Libro Bianco sul lavoro ed il Patto per l'Italia (Legge 30): il lavoratore, l'operaio, costretto all'ordine di esigenze proprietarie e di profitto a lui estranee poiché proprie a classi dominanti e del mercato, dev'esser disponibile ad una totale precarietà e flessibilità, a costo quasi zero per l'azienda, senza tutela e sicurezza, senza diritti sul luogo di lavoro. Sottoposto a regime di supersfruttamento e, volenti o nolenti, antesignano di quella che rapidamente si appresta ed essere la "normalità nuova" della condizione del Lavoro. Così il "precario", nella condizione di generalizzazione della precarietà quale norma del funzionamento generale del mercato del lavoro, non sarà più tale, nella misura in cui non esisteranno più formule di lavoro stabile, stabilizzato o stabilizzanti rispetto alle quale esser, appunto, "precari"...
A completare il quadro risulta la strategia consociativa dei vertici del sindacalismo collaborazionista che, attento più agli interessi complessivi dell'azienda che a quelli della classe, ha sguarnito completamente il fronte di tenuta storica del movimento operaio, anche rispetto al semplice terreno della contrattazione. Questa la cosiddetta "modernizzazione" del mercato del lavoro. Questo il segno vero di un capitalismo che non può essere "corretto" né può avere volto umano…
Eppure il risultato relativamente positivo del sindacalismo extraconfederale di sinistra nei rinnovi delle Rsu nel pubblico impiego e nelle grandi aziende metalmeccaniche, è il segno che i lavoratori non hanno imboccato ancora il sentiero della rassegnazione e dell'integrazione ma non ha risolto – né può farlo in sé – il problema politico dell'assenza di tensione e di un progetto anticapitalistico, apertamente rivoluzionario, capace di ridare entusiasmo e fiducia alle classi lavoratrici e alle nuove fasce del precariato sociale.
La classe operaia storicamente intesa, sebbene resa "residuale" dalla generale politica di decentramento produttivo nelle aree di una conquista capitalistica (Medio Oriente su tutte) o investite dal più pesante restaurazionismo (vedi allargamento ad Est dell'UE), può oggi reagire alla stretta del padronato in accordo con le burocrazie sindacali, solo nel "disgelo" di una rinnovata e già recuperata potenzialità conflittuale generalizzata ed allargata a settori più ampi di resistenza sociale. Fuori e contro gli interessi di azienda e proprietà, dunque, e con la convinzione dell'urgenza di una rifondazione sindacale, di classe e rivoluzionaria, quale coordinamento compattato tra gli elementi più coscienti ed avanzati espressi tanto dalla classe quanto della più generale resistenza sociale. Obiettivo: promuovere ed estendere il coefficiente di durata ed intensità delle lotte di settore in una più generale determinazione del conflitto di classe e di massa.
Solo in questo modo, che consta dell'interpretazione delle nuove variabili del conflitto, della rifondazione stessa delle soggettività collettive a loro volta determinate dalla riorganizzazione del ciclo generale di produzione e riproduzione sociale dell'attuale modello economico occidentale, dell'individuazione di nuovi luoghi e nuovi terreni di aggregazione e riaggregazione sociale, sarà possibile passare da una dimensione di mera resistenza – purtroppo progressivamente erosa dall'assedio permanente delle forze del Capitale – a quella di controffensiva e avanzamento.
Siamo ben consapevoli che il percorso non è ne facile né immediato. Il Governo uscente ed oggi ricandidato in varia forma alla guida del Paese, di concerto con le destre ad esso fintamente contrapposte, ha lavorato per due anni alla "calmierazione" delle lotte nel quadro delle compatibilità istituzionali a salvaguardia degli interessi dominanti. Ha imposto, in nome e per conto di una sostanziale continuità col governo ancora precedente ulteriori "lacrime e sangue", "tagli e sacrifici" per i lavoratori salariati e dipendenti e, più in generale, delle fasce sociali già precarie e "non protette". La natura classista delle forze egemoni della competizione elettorale attuale, nonché i modificati blocchi sociali di riferimento della presunta "sinistra radicale" pesantemente compromessa dall'esperienza del governo uscente, determinerà ulteriormente una situazione per cui qualsiasi sia il prossimo governo non si farà che lavorare, sul fronte del Lavoro, alla detonazione del potenziale esplosivo dei conflitti sociali, utilizzando i sindacati concertativi come sorta di "cinghia di trasmissione all'incontrario" in funzione "pacificatrice", nell'ordine più generale dello storico collaborazionismo interclassista.
Settori consistenti di lavoratori e militanti hanno tentato ripetutamente di contrastare la politica confederale, ma hanno dovuto scontrarsi, prima ancora che con i padroni, proprio con le burocrazie sindacali. La stessa Cgil è stata a lungo a metà strada tra antagonismo e subalternità, senza autonomia dallo Stato e dalla logica d'impresa.
S'impone oggi con evidenza e urgenza, con possibilità oggettiva, il nodo della ricostruzione di un autentico sindacalismo di base e classe, a condizione che esso sia allargato a dimensione sociale e generale del conflitto. Di un soggetto di massa che sia totalmente autonomo non solo dai partiti, ma anche dalle istituzioni statuali e dal quadro delle compatibilità capitalistiche. Che giochi, quindi, questa sua autonomia nella difesa delle condizioni materiali di vita e di lavoro del proletariato vecchio e nuovo, espandendone poteri e diritti in nome di un'alternativa reale di Sistema e di Potere.
Tanto nel sindacato confederale che in quello extraconfederale esistono pezzi importanti della cultura e della pratica antagonista: un patrimonio di esperienze e di storia, un portato di lotte e di conquiste che non si può mantenere frammentato; esso va unificato attraverso un processo di riaggregazione, base fondamentale della ricostruzione di un sindacalismo di massa teso ad interpretare, coordinare e dirigere una reale opposizione di classe, nel quadro della più generale opposizione sociale, tanto alle politiche fintoriformatrici solidali e complici con le forze del Capitale che, a maggior ragione, alle politiche esplicitamente classiste oggi dominanti.
Una riaggregazione che ha bisogno di momenti significativi di scomposizione e ricomposizione dei soggetti esistenti, che ha bisogno soprattutto dell'intervento attivo dei settori più combattivi del proletariato e del lavoro dipendente, ma anche del non-lavoro indotto o del più generale precariato sociale. L'idea stessa di una sorta di sindacato metropolitano che ragguagli e coordini le battaglie sociali generalmente intese investendo, in termini di nuova aggregazione e partecipazione diretta e attiva, su quelle soggettività sociali e collettive che costituiscono, ancora ed in maniera rinnovata, l'ossatura delle lotte e delle manifestazioni come legittimi rappresentanti degli interessi di classe.
Ci rendiamo conto della complessità della situazione. Siamo consapevoli che ricostruire un sindacato di classe, non è decidere la nascita di una sigla nuova o sommare alcune di quelle esistenti, ma è un processo politico. Ci rendiamo anche conto dei problemi sia teorici che pratici che devono essere affrontati e risolti.
Purtroppo, ad oggi, quei settori seppur di avanguardia interni ed esterni al sindacalismo confederale non riescono, proprio per le diverse stratificazioni e vicende storiche di cui sono il prodotto, ad unificarsi, né a fare egemonia. E' qui che è indispensabile il ruolo e la proposta pratica dei comunisti. Abbiamo la necessità di unificare la volontà dei comunisti secondo una linea comune e riteniamo che i luoghi dove realizzare e verificare tale processo siano le conferenze permanenti delle lavoratrici e dei lavoratori, unite alle quelle esperienze di resistenza e riaggregazione sociale, nelle diverse dimensioni di settore e territorio. La liberazione di nuovi e più proficui spazi sociali autogestiti tenta, infatti, di muoversi proprio in questa direzione. Le consulte permanenti sono da realizzarsi nell'immediato a ché i possano esse stesse, collettivamente, diventare punto di riferimento e di raccordo tra elementi coscienti e combattivi che lavorino alla radicalizzazione delle lotte, all'estensione delle rivendicazioni, alla generalizzazione del conflitto.
Partire dall'elaborazione di una comune strategia di intervento e mobilitazione permanente, articolata intorno ad una piattaforma unificante e condivisa, da far vivere in e da quel conflitto, sebbene diversamente determinato dalle specificità territoriali di riferimento, diventa un primo ma considerevole passo in direzione della ricostruzione di un blocco autonomo di classe "sindacalmente" organizzato.
La riaffermazione della centralità strategica delle nuove e diverse soggettività di classe quali soggetti primari della determinazione rivoluzionaria della transizione al Socialismo richiede, dunque, l'elaborazione di un programma di lotte sociali incardinato su rivendicazioni che presuppongono la realizzazione di elementi, sia pur parziali, di socialismo, della pratica del controllo popolare e della democrazia diretta, proprio a partire dai luoghi di lavoro e del conflitto. La metropoli rappresenta, da questo punto di vista, non solo un coacervo di contraddizioni stridenti ed evidenti in sé, ma anche una opportunità di riaggregazione politica e sindacale su basi rivoluzionarie materiali, non più intesa come epicentro dal quale il conflitto irradia, bensì come terminale concentrico delle lotte particolari di settore e territorio. Fuori dalla sterile dichiarazione d'intenti, dalle mere petizioni di principio e, men che meno, dalle impotenti enunciazioni per punti di piattaforme sempre più simili a "liste della spesa" che non ad un reale progetto di mobilitazione sociale anticapitalista.
Ribadiamo, pertanto, con forza la nostra convinzione: la correttezza della proposta politica e sindacale si verifica nelle battaglie rivendicative e nella lotta di classe che saremo in grado di mettere in campo, collettivamente ed in modalità in più possibili unificanti, con l'azione di quadri militanti attivi nelle alleanze sociali realizzate.
Partire dall'elaborazione di una comune strategia di intervento e mobilitazione permanente, articolata intorno ad una piattaforma unificante e condivisa, da far vivere in e da quel conflitto, sebbene diversamente determinato dalle specificità territoriali di riferimento, diventa un primo ma considerevole passo in direzione della ricostruzione di un blocco autonomo di classe "sindacalmente" organizzato.
La riaffermazione della centralità strategica delle nuove e diverse soggettività di classe quali soggetti primari della determinazione rivoluzionaria della transizione al Socialismo richiede, dunque, l'elaborazione di un programma di lotte sociali incardinato su rivendicazioni che presuppongono la realizzazione di elementi, sia pur parziali, di socialismo, della pratica del controllo popolare e della democrazia diretta, proprio a partire dai luoghi di lavoro e del conflitto. La metropoli rappresenta, da questo punto di vista, non solo un coacervo di contraddizioni stridenti ed evidenti in sé, ma anche una opportunità di riaggregazione politica e sindacale su basi rivoluzionarie materiali, non più intesa come epicentro dal quale il conflitto irradia, bensì come terminale concentrico delle lotte particolari di settore e territorio. Fuori dalla sterile dichiarazione d'intenti, dalle mere petizioni di principio e, men che meno, dalle impotenti enunciazioni per punti di piattaforme sempre più simili a "liste della spesa" che non ad un reale progetto di mobilitazione sociale anticapitalista.
Ribadiamo, pertanto, con forza la nostra convinzione: la correttezza della proposta politica e sindacale si verifica nelle battaglie rivendicative e nella lotta di classe che saremo in grado di mettere in campo, collettivamente ed in modalità in più possibili unificanti, con l'azione di quadri militanti attivi nelle alleanze sociali realizzate.
Collettivo Politico MILITANZ Casa del Popolo
per l'Autorganizzazione sociale