Articoli supplementari, dunque, tramite cui la signora Gelmini, Ministro sotto assedio, intende addolcire la pillola amara dei tagli previsti dalla Legge 133, firmata insieme e d’accordo col Ministro Tremonti. Articoli articolati in una decina di commi di cui, il primo, il più importante stigmatizza la condotta finanziaria degli Atenei “non virtuosi” al fine di “liberalizzare”, in un qualche modo, il reclutamento dei ricercatori massacrati dal blocco del turn-over già previsto in base a detta legge. Si tratterebbe di “urgenti disposizioni” accompagnate da una nota giustapposta contrassegnata “Riservato”. Nulla da fare però. Fermate, le “urgenti disposizioni”, alla Direzione generale del Ministero, giacché la protesta non si placa. La lotta continua. Non si placano “le polemiche...quelle sui concorsi e quelle politiche”… Così “uno degli interventi d’accompagnamento” del “pacchetto Università” viene accantonato, mentre la gran parte delle misure previste saranno trasferite in un disegno di legge. E allora la Lotta fa bene a continuare.
Si moltiplicano le iniziative, le nuove occupazioni e mobilitazioni generali, da Milano a Palermo. Tutto il mondo universitario, tra studenti e lavoratori del settore, in piazza giorno dopo giorno, Ateneo dopo Ateneo, in tutt’Italia, tra cortei spontanei e lezioni davvero pubbliche, aperte alla città, a chiunque. Parola d’ordine: “Noi non pagheremo la vostra crisi!”, ribadire, nella Lotta e nel Lavoro, il proprio NO alla politica di smantellamento e precarizzazione ulteriore del sistema pubblico. Il proprio NO ad una legge che fa strame di tutto il sistema scolastico, dalle Elementari alle Università. Il proprio NO al più generale disegno politico e strategico che, nel tempo della crisi generale del capitalismo internazionale, tenta di recuperare inaccettabili privilegi classisti e rendite parassitarie dei “signori del profitto”, “risparmiando” sulla spesa sociale collettiva e cancellando le conquiste faticosamente conseguite con anni di dure lotte di popolo e di massa.
Il Governo nega, così, qualsivoglia responsabilità sociale, fingendo di non intendere che il consenso non è fatto accessorio. E sembra affatto intenzionato a concedere legittimità alcuna a quello che continua a definire un “movimento di pochi facinorosi politicizzati”. Ogni tipo di mediazione politica, persino la più semplice interlocuzione, è di fatto impedita. Impedita esattamente dall’alto dei provvedimenti calati sulle teste di studenti, lavoratori e famiglie relative, che, per tutta risposta, si organizzano alla (ri)conquista della propria visibilità sociale, dello spazio sociale collettivo ad essi proprio. Autonomamente. In modo autorganizzato e senza rappresentanza alcuna se non quella più diretta ed immediata. Senza più delegare a partito od organizzazione alcuna una battaglia, un piano rivendicativo e d’interesse che sentono innanzitutto come proprio. Ed è così che, ribaltando l’approccio metodologico alla Lotta proprio ad altri anni e movimenti, partono dalle proprie rivendicazioni sociali – per l’appunto – dell’immediato, per guadagnarsi poi a determinazioni di ordine politico e strategico via via superiori e non già viceversa. Approccio, dunque, più dinamico e fattivo, sì come dinamica è la fase. Approccio più pratico che ideologico sì come più “pragmatica” e smaccata è l’azione finto-riformatrice del Governo dei padroni, dei banchieri e Confindustria.
L“Onda lunga”, così come il Movimento studentesco si è (ri)battezzato, rischia di diventare “tsunami” per il Governo e i suoi amici, giacché, in corso d’opera è il collegamento col mondo del Lavoro ed il suo Movimento. Comune obiettivo di interessi di classe quale comune piano di “liberazione sociale” dalla disciplina insopportabile imposta loro, in questa fase. Stessa lotta contro la stessa classe dominante, dunque. Significative, a tal proposito, le convergenze organizzate, seppur in maniera autonoma, in occasione degli scorsi scioperi generali del 17 ottobre e poi del 30.
E allora, il temporaneo “rinvio” della “riforma” dell’Università deciso da Berlusconi al fine di “calmare un po’ le acque”, altro non è che il tentativo di ritardare gli effetti più pesanti dello scontro in atto tra basi sociali e Istituzioni, classi inferiori e classi sfruttatrici, Lavoro (materiale ed intellettuale) e Capitale (difeso e tutelato a norma di Sistema dal Governo). Non già il frutto di un inaspettato ravvisarsi del Governo, quindi, quanto piuttosto assunzione di una “scala di priorità” che ora fa passare in secondo piano il discusso piano sull’Università. Del resto, per un Governo prono agli interessi delle Banche e delle imprese, che controlla e protegge di contro i pubblici interessi, difficile risulta ravvedersi in merito.
Gelmini, Tremonti e Berlusconi tirano diritto, pur prendendosi una “pausa” – non certo utile a riflettere! – e così scavano ancora più profondo il solco della contrapposizione sociale affondandoci, tutto e per intero, l'aratro dell'arroganza del Potere. Tant’è che il premier, seppur con un problema di tenuta nella sua stessa maggioranza preoccupata del consenso in caduta verticale, già dichiara d’esser, ad ogni modo, “convinto della necessità di una riforma che cambi il volto delle Università” (magari “spezzandogli le reni”!). Confermati, dunque, tutti i tagli già a partire dal 2009 (63 milioni di euro cui vanno aggiunti 218 milioni di “risparmi” con il blocco del turn-over). Confermata la tendenza alla “capitalizzazione” coatta dell’Università (nel 2010, saranno stanziati 733 milioni di euro in meno secondo il disegno del dicastero dell’Economia!) senza preoccuparsi più di tanto della capitolazione del suo ruolo di formazione di cittadini di pensiero e di coscienza, di sapere libero e critico, di nuova e rinnovata classe dirigente in grado di far fronte alle sfide del futuro già globalizzato.
Non sarà forse che il senso stesso di una “riforma” come questa, al di la dei provvedimenti materialmente definiti dal decreto e dalla legge, risiede proprio nella trasformazione del senso, del principio, delle ragioni stesse dell’Istituzione-Università? Non sarà che, in tempo di caduta tendenziale, veloce e verticale del saggio medio di profitto, il governo valuti opportuno adeguare la piramide sociale – al fine di preservane vertici sempre più oligarchici e ristretti – in termini di rigorosa separazione di classe, provando ad impedire le condizioni stesse di qualsivoglia processo di ascensione sociale, di cui l’Istruzione ne è leva principale? Non sarà che una Scuola ed un’Università “riformata” e “capitalizzata” meglio risponde alle esigenze di classi dominanti e del Mercato sempre in ansia di profitti più che di cittadini consapevoli e coscienti? Del resto è noto che un Popolo un po’ meno istruito potrà esser condotto ed orientato tanto meglio da governi e fabbricanti universali di pubblica opinione alla maniera propria al “buon pastore”, paternalista ed autocratico... Parafrasando “una voce” del Movimento che ci ha preceduto, diremmo che i “lorsignori” son stanchi di continuare a stupirsi del fatto che “anche l’operaio vuole il figlio dottore”… che morale sarebbe mai questa?!
E invece una morale c’è eccome. Ed oggi pesa come non mai, nella capacità di permeare la società e farsi riconoscere. Nell’okkuparla e liberarla insieme. Nella sua facoltà di autodeterminarsi proprio a partire dall’autorganizzazione del corpo sociale collettivo resosi così agente e reagente dinanzi al costante attentato a suo danno condotto da Governi e classi dominanti. E la morale è, in fin dei conti e a ben vedere, proprio la “morale della Storia”: senza Lotta non si da Progresso, ragion per cui la prima conquista della Lotta è la Lotta stessa.
L’Italia che studia e che lavora oggi insorge e dalle barricate di una resistenza intellettuale, culturale, materiale, non si rassegna all’ordine presente delle cose e reagisce. Per davvero. Senza presunti “voti utili” o di protesta che siano. Senza urne nè volendone sapere. Direttamente, invece. E comincia a dettar i tempi di una manovra che Berlusconi e i suoi accoliti pensavano esser “rapida e indolore”, attacco strategico di fase di una guerra-lampo puntata al cuore dei diritti del Popolo lavoratore e dei i suoi figli. Figli giovani studenti e, magari, lavoratori anch’essi e già precari.
Stavolta, però, non si passa. La rivendicazione è chiara. Gli obiettivi anche. La contestazione general-generica diventa “Onda lunga”, Movimento. Ed è così che la manovra del Governo subisce un “cambio di priorità” e si riarticola, d’altro canto, nella più storica delle strategie delle destre demagoghe e populiste: “stancare” il Movimento costringendolo alla mobilitazione a oltranza senza mai dichiararsi disponibile a “trattare”; utilizzare, in caso di resistenza a oltranza ed estensione incontrollata del conflitto, “cani da guardia” appositamente addestrati (fascisti e balordi vari) per provocare il Movimento e provare a “spostarne” gli obiettivi; criminalizzarlo tramite campagne mediatiche di disinformazione di massa sapientemente artate da servetti sciocchi dell'informazione borghese e pennivendoli di sorta; provare, in ultimo, a porlo in contraddizione se non addirittura in “conflitto d'interessi” col più generale movimento dei lavoratori, al fine di impedirne, in definitiva, la possibilità stessa di raccordo.
Eppure il movimento regge e non cede alle provocazioni. Tiene e si organizza. L’attività di controinformazione militante, agitazione e propaganda è all’ordine del giorno. Ed alle provocazioni continue reagisce con l’iniziativa sociale e poi politica. Già, politica. “Politicizzazione” che vien da se, dal vivo della lotta economica e politica corrente e non già da aprioristiche e formali professioni di senso e di valore, fedi ideologiche astratte che trascendono la Lotta. Politicizzazione reale, dunque. Senza cappelli nè paternità partitiche. Del resto, qualsivoglia movimento che intenda infrangere i codici dell’ordine imposto dalle autorità costituite comporta e presuppone il “parricidio” e prova a far da sé. Così, fermo nella “coscienza al fosforo piantata tra l’aorta e l’intenzione”, il Movimento osserva i suoi obiettivi: quelli immediati del ritiro integrale della “riforma” Gelmini e delle leggi precarizzanti pregresse in materia di Istruzione, in nome di una "riforma reale" di Scuola e Università che (ri)qualifichi il sapere mediante la partecipazione e la proposta degli studenti, del personale docente e tecnico-amministrativo tutto; quelli di medio termine dati dalla definizione organizzata di un coordinamento generale delle realtà di Lotta e di Lavoro che recuperino un piano di confronto costante ed unità di lotta come proprio ad un nuovo blocco sociale antagonista; quelli generali o di lungo periodo, ovvero quelli dati dal lavoro di sedimentazione di un rinnovato terreno di socializzazione di coscienza ed esperienza, politica e di classe, base fondante di qualsivoglia intelligenza collettiva per una potenziale alternativa di Sistema e di Potere tutt'affatto che improbabile.
Questa l’entità della battaglia in corso. Questo anche il compito di quanti non si rassegnano alla logica mercificata di una “cultura di plastica” confezionata in codici a barre, quale sottoprodotto sociale venduto e poi svenduto sul Mercato della crisi. Questo, in conclusione, il senso stesso di una battaglia di Classe e Civiltà, dove – con buona pace di qualcuno – i proletari della scuola, precari nello studio e nel lavoro e che questa “riforma” vorrebbe “formare” come precari della vita, non hanno la divisa né vorrebbero vederne in casa propria. E, nel grande laboratorio di sperimentazione politica e culturale che si sta autorganizzando, sono già tutti operai del genio.
Collettivo Politico MILITANZ Casa del Popolo (CdP)
per l'Autorganizzazione sociale