giovedì 22 maggio 2008

EUSKADI. UN POPOLO NAZIONE, UNA NAZIONE SENZA STATO

"La messa fuori legge della sinistra indipendentista ha privato almeno il 15% della popolazione basca del diritto ad essere rappresentata. Ma come dimostrano i voti nulli depositati nelle urne dagli elettori di Batasuna [nelle ultime politiche, ndr] il movimento popolare basco non rinuncia alla lotta. Continua le mobilitazioni per il riavvicinamento dei prigionieri politici e per la liberazione di quelli che hanno già scontato i 3/4 della pena; contro la tortura; per la riduzione della precarietà nel mondo del lavoro e contro le morti bianche; contro la "ley de estranjeria", una specie di Bossi-Fini ancora più restrittiva; contro l’alta velocità e l’inquinamento elettromagnetico; contro la diga di Itoiz; contro le militarizzazione del territorio e la partecipazione dei militari di Madrid alle guerre neocoloniali di Bush. Ognuna di queste mobilitazioni ci ricorda che parliamo di una forza (…) che mantiene tra i suoi obiettivi la costruzione di un ordine sociale ed economico diverso dal capitalismo e che, ad esempio, rifiuta la costruzione europea perché in essa intravede un nuovo polo imperialista pronto alla competizione globale, e per questo pericoloso per i popoli che la compongono nonché per tutti gli altri.”
(Marco Santopadre)


Nonostante la Spagna non sia più la “vecchia Spagna eterna e civilizzatrice” tanto rivendicata dai “caudillos” delle destre iberiche, la Spagna contemporanea, quella del progressista Zapatero, quella del “laboratorio sociale” dell’UE, sembra non preoccuparsi affatto della degenerazione autoritaria delle sue istituzioni nazionali rispetto all’osservanza dei diritti di autodeterminazione dei Popoli, siano essi Baschi, Galeghi o Catalani. Tutt’altro. La rimozione della “questione indipendentista” dall’informazione ufficiale e dall’analisi del quadro – per non dire dell’assetto – geopolitico, etnico e culturale dello Stato spagnolo sembra essere la norma del sistema comunicativo del Governo e della condotta istituzionale e, di conseguenza, della sua azione. Come dire: nec nomen nec numen! Mentre la conferma della politica di intransigenza rende permanente, ad esempio, la messa fuori legge di Batasuna, formazione più dinamica ed avanzata, oltre che maggioritaria, della sinistra indipendentista basca.

Il livello di persecuzione politica è pesante, nella Spagna “del progresso”. Gli spazi di agibilità democratica e sindacale, per la sinistra di classe e rivoluzionaria, ridotti ai minimi termini. A tutto vantaggio, peraltro, della destra nazionalista basca (PNV) che, funzionalmente, riduce le rivendicazioni di autonomia ed indipendenza tanto proprie al comune, diffuso e condiviso sentimento popolare basco, al mero innalzamento di una nuova frontiera nazionale; agli esclusivi interessi delle corporazioni economiche basche particolarmente attive nelle speculazioni sul mercato turistico ed immobiliare, ansiose – come sono – di percepire, in autonomia appunto, finanziamenti europei scevri dal filtro del Governo centrale di Madrid; ai contatti organici ed organizzati con la Lega Nord..

Di recente la situazione ha subito un ulteriore peggioramento in senso repressivo dovuto al fatto che, a fronte dello stallo in cui versano le mediazioni politiche per il rilascio del portavoce nazionale di Batasuna, Alvare Otegi – incarcerato per mero reato di opinione lo scorso giugno – e l’ulteriore ondata di “arresti cautelari” che hanno investito il movimento di liberazione basco, l’ETA, Organizzazione autonomista politica combattente, ha riaperto le ostilità, rompendo la tregua che aveva definito unilateralmente con lo stato spagnolo. Effetto immediato è stata l’incremento della militarizzazione, imposta dal Governo di Madrid, che ha puntellato il territorio basco di decine di blocchi stradali e pattugliamenti condotti dai reparti speciali dell’esercito spagnolo.
Il Governo Zp, “laico, progressista e illuminato”, al pari di ogni altro risponde in termini di rappresaglia condotta al cuore dei diritti democratici di autodeterminazione del Popolo Basco. Euskal Herria rappresenta il principale agglomerato industriale della Spagna oggi in piena espansione economica di tipo infrastrutturale: il solo pensiero di dover rinunciare all’apparato produttivo pesante dei Paesi Baschi fa vacillare ogni ottimismo di governo e ogni certezza della “Spagna in crescita”. Questa certezza va “difesa”, per il Governo di Madrid, con forza. Con la forza. Con le armi se necessario. Armi di Stato, armi “legali”. Diverse da quelle “sovversive”, “terroriste”, del movimento indipendentista, nevvero?…

Dolente, a questo punto, resta la nota e la considerazione dell’atteggiamento dei Partiti della sinistra che fu istituzionale e di governo nel nostro Paese, la quale, nonostante l’evolversi degli eventi in terra basca ed il vento destro che spira forte in Europa, continuano a ribadire la posizione ufficiale adottata fin dal 2002 e ben sintetizzata da un comunicato ufficiale della Segreteria nazionale di Rifondazione: "La divergenza di opinioni sul ruolo dell’ETA tra il nostro partito e Batasuna rimane una distanza incolmabile. Pertanto ribadiamo le decisioni già assunte in passato di non avere relazioni ufficiali con questo partito". Posizione, questa, di difficile comprensione per i Compagni baschi, forse più concentrati sull’estetica di una Rifondazione che ancora si attarda e definirsi “comunista”, corrompendo e confondendo le forze sane che esistono nei movimenti reali, che non sull’ormai mancata solidarietà internazionalista, prima per esigenze di compatibilità istituzionale, oggi per ansia di “ridefinizione” social-riformista ed “euro-democratica”. Posizione, d’altro canto, evidente in sé, stando all’acritico legame dei nostrani “sinistri” di Partito con quella sinistra istituzionale spagnola che di astenne quando le Cortes misero fuori legge Batasuna: alla condivisione fideistica delle magnifiche sorti e progressive dell’UE; alla assai scarsa considerazione del ruolo dei movimenti di liberazione nazionale nel processo di più complessiva liberazione sociale; alla rimozione dell’obiettivo stesso di conquista del potere politico da parte di una classe persino negata nel suo esser tale; alla rinuncia esplicita della possibilità stessa di poter costruire egemonia politica anche in condizioni di minoranza.

Le posizioni assunte dalla sinistra italiana – con l’unica eccezione dei proclami formali del PdCI a riguardo – ormai “resa” extra-parlamentare dalla perdita della sua stessa ragione sociale a causa dell’organicità ad un governo antipopolare ed antioperaio – quale stato il Governo Prodi! – di cui si è resa complice, contribuiscono, a nostro avviso, ad alzare il livello di tensione in quel Paese e non, al contrario, alla risoluzione negoziata del conflitto basco-spagnolo. Più in generale, dette posizioni opportunisticamente “diplomatiche” non negoziano affatto rapporti ed interessi tra le parti, ma, diversamente, danno implicito consenso e, quindi, “nulla osta” alle politiche statuali classiste e repressive che governi centralisti attuano a danno di Popoli non riconosciuti e poi negati nella loro stessa identità. Mentre in Italia, la Lega, da sempre “poco avvezza” al tricolore nazionale, va al governo del Paese – insieme a formazioni ancora “inclini” a “Dio, alla Patria e alla Famiglia”! – su posizioni di esplicito separatismo neo-corporativo e piccolo-borghese ma, incredibilmente, con consenso di massa e di classe.

Negare la possibilità stessa di interlocuzione politica con quanti, pur nel giusto della causa dell’emancipazione e del riscatto di un intero popolo, non condannino apertamente le azioni armate, anzi, sono costretti a praticarle in linea di autodifesa tattica e strategica, vuol dire rinunciare, per principio, ad esercitare qualsivoglia ruolo di mediazione politica, fosse anche quello della denuncia dell’uso delle armi come mezzo dell’azione politica stessa. Evidentemente, per le sinistre italiche la non condivisione dei metodi di lotta di una parte della sinistra indipendentista basca giustificherebbe espulsione di Batasuna, libera associazione di individui prevista in base e nel rispetto della Costituzione, dal novero dei partiti costituzionalmente riconosciuti. Atteggiamento analogo caratterizza l’approccio rispetto a formazioni rivoluzionarie attive in Palestina, in Iraq, in Sud America.
Si disse: “Se cessa la lotta armata, allora tutto può cambiare e trovare più semplice soluzione”. Eppure, nei 20 mesi di tregua proclamata unilateralmente dall’indipendentismo basco un paio di anni fa, non si è vista alcuna mobilitazione delle sinistre italiche per affrontare, fosse pure con una rogatoria internazionale, la questione. Nemmeno solo per denunciare, ad esempio, l’uso sistematico della tortura corporale e della aggressione psicologica violenta utilizzata dalla polizia e dall’esercito spagnolo contro militanti sindacali, attivisti delle organizzazioni giovanili, giornalisti indipendenti.
Evidente allora risulta che la fine delle ostilità di questo lungo e travagliato conflitto, che ha posto ed imposto tributi di sangue particolarmente importanti da entrambe le parti, è possibile solo come soluzione politica, essendo il conflitto stesso di natura politica e storica. Soluzione politica che non può non prendere in considerazione reale almeno una parte significativa delle rivendicazioni di Batasuna e del settore maggioritario della società basca che a questo fa riferimento.

Lo capì, a suo tempo, Tony Blair, in Inghilterra, che, bisognoso di nuova stabilità interna a fronte di ciò che si presentava come poi è stato, ovvero inesorabile parabola discendente del suo governo, decise di affrontare in termini politici e negoziali la “questione nordirlandese”, andando ad un tavolo di trattative ufficiale che non poteva non andare incontro alle istanze degli indipendentisti. Sembrano, invece, non capirlo i socialisti spagnoli, altermondisti parolai, che continuano ad appellarsi ad una “pace”, impossibile senza Giustizia, senza muover passo alcun in direzione della costruzione delle precondizioni necessarie alla realizzazione della Pace.
Ad ogni modo, che i Baschi non siano soli o totalmente isolati lo si deduce dalla liberazione, avvenuta qualche anno fa, di Asier Huegun da parte della guerriglia colombiana: rapito dall’EP (Esercito Popolare di Liberazione Nazionale) insieme ad altri sei turisti occidentali, il giovane basco è stato rimandato a casa in nome "della comune lotta del popolo colombiano e di quello basco per la libertà e l’indipendenza".

Forse non servono gesti altrettanto eclatanti e, comunque, non ce ne aspettiamo da parte delle sinistre “istituzionalizzanti” di casa nostra. Come Collettivo Politico MILITANZ Casa del Popolo (CdP) esprimiamo la nostra solidarietà militante internazionalista al movimento per l’Indipendenza di Euskal Herria ed, in particolare, a Batasuna, forza non strettamente comunista eppur foriera di istanze e di rivendicazioni proprie alla lotta emancipatrice degli oppressi. Convinti che il “nazionalismo” basco, pur se non alieno da deviazionismi potenziali, sia misura di riscatto sociale e popolare e certi della giustezza dell’autodeterminazione quale precondizione praticata dell’Alternativa di Sistema e di Potere dei Popoli oppressi, invitiamo tutti i Compagni e le Compagne più coscienti e d avanzati a costruire ponti di contatto e solidarietà politica e materiale con l’indipendentismo basco, lanciando assemblee e momenti di iniziativa internazionalista, istituendo corrispondenze per lo scambio ed il confronto di materiali politici, recandosi, nell’ordine delle possibilità di ognuno, nei Paesi Baschi, al fine di finanziare – come noi stessi abbiamo fatto di recente! – anche con la sola stessa permanenza in quel Paese, il movimento indipendentista.

Morte al fascimo.
Libertà ai Popoli.
Per l’Autodeterminazione dei Popoli

Collettivo politico MILITANZ Casa del Popolo
per l'Autorganizzazione sociale