Un gioco d'azzardo in un Mercato troppo libero...
Scontare scenari futuri è il compito essenziale dei mercati valutari internazionali. Prevederli con la maggiore probabilità di realizzazione e con approssimazione temporale tutt’altro che a breve o medio termine ma a 10, 20, 30 anni da adesso. Si tratta di calcolo “scientifico” delle variabili di mercato, andamento dei consumi e, più in generale, della tenuta del sistema economico. Se però le variabili diventano “troppo” indipendenti e le cosiddette “carte in tavola” cambiano in fretta, il processo smette di assomigliare ad un percorso, scientificamente fondato e comprovato e assume i connotati di un bel giro sulle montagne russe. E sulle montagne russe – si sa – gridi, stai male, ma, di solito, ti ritrovi esattamente al punto dal quale eri partito.
Scontare scenari futuri è il compito essenziale dei mercati valutari internazionali. Prevederli con la maggiore probabilità di realizzazione e con approssimazione temporale tutt’altro che a breve o medio termine ma a 10, 20, 30 anni da adesso. Si tratta di calcolo “scientifico” delle variabili di mercato, andamento dei consumi e, più in generale, della tenuta del sistema economico. Se però le variabili diventano “troppo” indipendenti e le cosiddette “carte in tavola” cambiano in fretta, il processo smette di assomigliare ad un percorso, scientificamente fondato e comprovato e assume i connotati di un bel giro sulle montagne russe. E sulle montagne russe – si sa – gridi, stai male, ma, di solito, ti ritrovi esattamente al punto dal quale eri partito.
Questo ultimo medio periodo è stato segnato da tre eventi in particolare che “pesano” sul quadro economico: l'audizione della Federal Riserve americana (Fed) sullo stato dell’economia interna ed internazionale, l'abbandono del regime di cambi fissi da parte della Cina; la paura, in Occidente, per altri attentati terroristici, che condiziona il quadro politico internazionale anche alla luce di imprese militari di occupazione imperialistica di aree geostrategiche del mondo (Iraq, Afghanistan, etc.) che non trovano soluzione a breve termine e costantemente vengono rifinanziate a fondo perduto.
La Fed dice la sua su tassi ed economia: se nel sistema ci sono “troppi” risparmi e questi vengono investiti nei titoli di stato, i governi riescono a finanziarsi a tassi relativamente bassi. L'economia, dunque, andrebbe benissimo se non fosse che i risparmi eccessivi sono quelli asiatici e con essi la Cina – ad esempio! – continua a comprare senza posa titoli di stato americani ed europei. Allora l’economia occidentale non va più tanto bene e i relativi governi devono finanziarsi a credito, indebitandosi ulteriormente al punto da (ri)fondare le loro stesse linne di tendenza economica strategica sul debito internazionale e, quindi, insistere con manovre di “aggiustamento” determinate da misure progressivamente restrittive quanto a welfare e politiche sociali. La Fed ammette, pertanto, che il problema potrebbe “anche” essere visto come una carenza di consumi… Sarebbe a dire: «Se il popolo non ha pane – e né deve averne! – che mangi brioches…». In effetti non è proprio questa l’espressione ufficiale, ma “l'intelligenza” politica del messaggio americano è spaventosamente simile.
Ora, se lo dicessimo noi, comunisti in Occidente, anticapitalisti dichiarati, parrebbe scontato. Succede però che, nell’annuale articolo di Deutsche Bank, pubblicato nel 2007, si rispolvera un tale Karl Marx e la sua teoria di «crisi da sotto-consumo»! In pratica una delle più grandi banche d'affari del mondo utilizza uno schema interpretativo (marxiano) ad essa – diciamo – non esattamente proprio. Davvero sorprendente se si considera che tesi di fondo degli Istituti di credito nazionali ed internazionali è la presunta non adeguatezza storica delle teorie di Marx, il loro essere viziate da economicismo positivistico arcaico e fuor di ogni lettura della modernità economica del capitalismo riorganizzato su scala globale, il fatto di essere “cose dell’Ottocento”! Chiaramente Deutsche Bank conclude che l'interpretazione marxiana non è esattamente l’analisi più congeniale all’Istituto ma tant'è… Beh, vedere Das Kapital citato nelle note a piè pagina dell’articolo fa un certo effetto. La crisi da sotto-consumo è una delle potenziali cause di crollo del capitalismo. Forse, in questa fase di nuova e rinnovata instabilità del mondo, anche i capitalisti più “ottimisti” ( o ottusi…) se ne sono accorti!
«Per dirla in breve, il prodotto di un sistema si divide tra la quota che va al lavoro (i salari) e quella che va al capitale (i profitti). I capitalisti ingordi e rapaci fanno aumentare la loro “fetta” (i profitti) fino al punto che i salari sono così bassi che non riescono neanche ad acquistare tutti i beni che il lavoro produce… Il sistema entra quindi in crisi (e a questo punto Marx prevedeva la rivoluzione). Non sembra una descrizione accurata del modello di sviluppo attuale nei paesi del terzo mondo? E poi, come si fa a lamentarsi che paesi del terzo mondo come la Cina ed, in generale, il Sud-Est asiatico risparmiano troppo?» (L. B. Ingles) Come non pensare, inoltre, alle condizioni economiche di regioni come quelle del Mezzogiorno d’Italia, sacche di sottosviluppo economico-sociale funzionale al mantenimento di standard di profitto sui mercati valutari internazionali…
La soluzione è evidente per la Fed: vendiamogli brioches! Qualunque cosa pur di non affrontare l'iniquità distributiva del sistema di redditi e risorse. E i mercati all'inizio provano a crederci, salgono tassi e borse ma poi tornano indietro. Nasce il sospetto che la Fed stia facendo un gioco pericoloso, sottostimando la debolezza strutturale delle economie occidentali e fingendo di ignorare la loro dipendenza diretta da fonti di approvvigionamento energetico di proprietà di Paesi non necessariamente “amici”, la Russia su tutti. Il sospetto ormai ce l'hanno in tanti, comunisti e non.
La soluzione è evidente per la Fed: vendiamogli brioches! Qualunque cosa pur di non affrontare l'iniquità distributiva del sistema di redditi e risorse. E i mercati all'inizio provano a crederci, salgono tassi e borse ma poi tornano indietro. Nasce il sospetto che la Fed stia facendo un gioco pericoloso, sottostimando la debolezza strutturale delle economie occidentali e fingendo di ignorare la loro dipendenza diretta da fonti di approvvigionamento energetico di proprietà di Paesi non necessariamente “amici”, la Russia su tutti. Il sospetto ormai ce l'hanno in tanti, comunisti e non.
Intanto la Cina abbandona il regime di cambi fissi. La valuta cinese non è più ancorata al DollaroUS ma ad un paniere di riferimento non rivelato. La Banca Popolare Cinese fissa, dunque, le chiusure ufficiali bilaterali alla fine di ogni giornata e il giorno dopo quelle rappresenteranno la nuova parità centrale della banda d’oscillazione monetaria. Tecnicamente si tratta di un sistema di parità striscianti. Questo implica: il DollaroUS svalutato con conseguente crescita dell’inflazione negli Usa; che la bilancia tra Usa e Cina si riequilibrerà un po', cioè i cinesi riceveranno un po' meno dollari e quindi compreranno un po' meno titoli di stato americani; che tutti corrono a vendere DollariUS che crolla e relativi titoli di stato per comprare borse.
Ma oltre la macroeconomia c'è la politica. Le considerazioni da farsi sarebbero molte e diverse. La Cina sembra cedere alle pressioni politiche dell'Occidente nel frattempo in grave difficoltà a causa della competizione delle merci cinesi sui mercati mondiali tanto da siglare, l’anno scorso, un accordo (a perdere!) “d’intesa commerciale” pur di preservare varchi di mercato dalla lunga marcia neocapitalistica cinese. D’altro canto e così facendo, la stessa Cina ottiene anche uno strumento in più per “frenare” la propria crescita impetuosa, allo stato insostenibile per i mercati internazionali; a livello di sistema, il suo adeguamento ai meccanismi economico-finanziari del mondo capitalistico fa un salto avanti notevole – forse più importante dell'adesione al WTO – come importante concessione verso le amministrazioni occidentali. Quale sarà la contropartita politica? ...Nei panni dei politici tibetani e, a torto o a ragione, dei loro sostenitori, forse ci sarebbe da innervosirsi un po'…
Operatori di mercato ed analisti studiano ancora per capire l'impatto effettivo degli eventi mentre riecheggiano ancora oggi nuove notizie in merito ai presunti attentatori alla Tube di Londra nel 2006. I mercati sono in fibrillazione, scomposti, instabili. Nel frattempo si sono moltiplicate, città dopo città, le simulazioni anti-terrorismo. Simboliche certo, eppure, politicamente, molto più inquietanti. C’è tensione, la “minaccia” è ritenuta continua, sempre presente. E mentre il sistema anti-missile americano ( il cosiddetto scudo spaziale BMT) viene istallato in Europa Orientale tanto da provare a “circondare” e “contenere” eventuali – ma improbabili! – azioni aggressive di Russia e Cina, riecheggiano i sonori proclami contro l’Occidente imperialista da parte dell’Iran dei khomeynisti di governo che riattivano programmi di espansione e proliferazione nucleare con l’appoggio strutturale e logistico del colosso petrolifero russo Gazprom. Intanto, di ritorno, per la prima volta nella Storia, proprio Russia e Cina hanno condotto, al confine dei rispettivi Paesi, manovre di esercitazione militare congiunte – con forze terrestri, corazzate ed aviotrasportate – proprio nel momento in cui si determina, palesemente, la dipendenza reale delle economie occidentali dalle forniture energetiche di quei Paesi.
E allora: tutti a rivendere le borse appena comprate e a ricomprarsi i titoli di stato occidentali appena venduti. I mercati si rimangiano tutto l'effetto Cina. E giungono, dai governi, manovre correttive e inviti alla prudenza ed al “risparmio” secondo Finanziarie già, di per sé stesse, “lacrime e sangue” per lavoratori, operai e piccoli commercianti mentre il decentramento fiscale ed amministrativo (la cosiddetta devolution data dal federalismo fiscale in Italia!) amplifica il divario tra flussi monetari Nord-Sud, sanzionando la separatezza tra regioni economicamente depresse e regioni “avanzate”. Così l’economia reale (potere d’acquisto delle famiglie) viene erosa, piegata e spezzata dall’economia nominale (indici statistici dell’andamento dei mercati)…
Il gioco del mercato finisce lì dove era iniziato. Tutti a casa a pensare, valutare fatti, calcolare rischi. Negli analisti occidentali vince la paura: cosa accadrà nei prossimi week-end quando i mercati sono chiusi e le perdite eventuali non possono essere limitate?. Meglio vendere un po’ di borse e (ri)parcheggiare i soldi in titoli di stato. Sono “saggi” i mercati!
Poi, ancora oggi, bombe nello Yemen, mentre, in Medioriente, in Palestina, si radicalizzano e radicano nel Popolo, le posizioni panarabe ed anti-occidentali, fuori e contro le “strategie compatibiliste” imposte, per anni, dalle diplomazie internazionali marcate Nord America…
Il gioco riparte! La Cina s’avvicina, mentre i suoi tedofori ne esportano l’immagine e il portato. Qualche contestazione isolata e sparsa, la timida ostilità di un Occidente sull’orlo d’una crisi recessiva. La questione è, come sempre, riposta nei rapporti di forza.
Scontare futuri scenari dell’economia internazionale, il loro calcolo statistico e prospettico, non è più, oggi, cosa molto semplice. Mentre la strategia del libero mercato, non più appannaggio di un mondo che ancora oggi pretenderebbe di esser considerato il Primo, cede il passo all’anarchia d’un mercato “troppo” libero e oscillante, stimati analisti politici ed economisti cominciano a pensare di voler fare un altro lavoro…
Non sarebbe meglio pianificare?...