martedì 15 aprile 2008

POLITICHE 2008. QUANDO IL MEN PEGGIO PREPARA IL PEGGIO

Fin dalle elezioni del 2006 concreto si è disvelato il rischio di avere il prosieguo della politica berlusconiana seppur “senza” Berlusconi. Un Governo – quello Prodi – presunto “di sinistra”, con al carro la 'siddetta “sinistra radicale” è riuscito lì dove il Governo di destra aveva fallito: “calmierare” il conflitto sociale senza per nulla affrontare reali problematiche sociali, insistere nella deriva liberista senza tutela sociale alcuna, provare a “disarmare” le sinistre, quelle vere, quelle dei movimenti, delle lotte sociali, della lotta di classe.
Usando lo spauracchio del pericolo del ritorno della destra al potere, detto rischio si è dimostrato ancor più grave proprio nel suo concretizzarsi: liberismo sfacciato ed incremento inaccettabile delle soglie di precarizzazione del Lavoro, rifinanziamento delle missioni militari all'estero e allargamento delle basi militari presenti sul territorio nazionale, attacco progressivo alle condizioni di vita e di lavoro delle fasce popolari, culto del padronato, riconferma in blocco delle presunte “politiche di sviluppo” sebbene affatto compatibili con la tutela di ambiente e territorio (dalla TAV allo scandalo internazionale legato all' “affare rifiuti” in Campania), sottomissione agli imperativi categorici del Vaticano, assunzione dei cosiddetti poteri forti del nostro Paese e dei loro terminali europei come sorta di occulta regia della politica strategica e d'indirizzo economico del “Sistema Italia”. Il tutto in un rinnovato clima di revisionismo storico tutto teso alla criminalizzazione diretta di chi ha provato, nei due anni di governo Prodi, a porre argine alla disarticolazione complessiva dello stato sociale del nostro Paese. Ha provato a dimostrare, nel vivo delle lotte, che i lavoratori non hanno “governi amici” se non il loro stesso autogoverno. Ha provato a dissentire “da sinistra” nella convinzione che la “logica stessa del men peggio”, nel nostro Paese, ha sempre, storicamente, preparato “il peggio” e che “peggio di un governo di destra può essere solo un governo di sinistra che opera come un governo di destra!”
E poi ancora: scippo del TFR e innalzamento dell'età pensionabile; l'indulto per i padroni per i reati commessi ai danni della salute dei lavoratori in barba al triste primato italiano nella “guerra del lavoro” – che consta mediamente di quattro omicidi al giorno sui luoghi di lavoro – su cui il rogo alla ThyssenKrupp ha squarciato per un solo attimo il “velo di Maya”, ma senza provocare, purtroppo, mutamento alcuno; la rinnovata caccia all'immigrato nero, romeno o rom; nuovi “decreti-sicurezza” di stampo chiaramente fascista; nomina – una su tutte! – del sig. De Gennaro, ovvero il principale responsabile delle violenze perpetrate a Genova nel 2001, a “comandante della monnezza” in Campania; nuovo vertice del G8 nel 2009 imposto alla Maddalena, in Sardegna.
Catastrofismo? Terrorismo psicologico? Vittimismo di sinistra? Nient'affatto. Dati di fatto, invece. Dati che pesano come non mai sulle condizioni già precarie della classe e del popolo lavoratore tutto. Dati che danno la misura della rinnovata "convergenza parallela" tra le diverse frazioni degli interessi dominanti, alla ricerca di una "stabilità di governo" quale diretto e rispettivo comitato d'affari tutto improntato alla tutela dei privilegi classisti della borghesia, media e grande, del nostro Paese. Dati che, ad oggi, riportano al Governo Berlusconi, in nome e per conto di una sostanziale continuità colla stessa linea generale di capitalizzazione dei servizi sociali essenziali sia pur diversamente declinata attraverso i governi borghesi degli ultimi 15 anni.

No. Non è il solito discorso proprio ai benpensanti di sinistra circa il “ventre molle e di destra” dell’Italia. La questione, invece, è che se la “sinistra” avesse avuto la metà della decisione di Berlusconi nel proporre un progetto strategicamente alternativo fondato sulla difesa del lavoro e degli interessi di classe, forse oggi discuteremmo di un risultato diverso. Significativamente diverso.
E invece non è stato così. Una campagna elettorale “in door”, lontano dalla piazza – se non nella logica delle storiche ‘siddette “vacche di Fanfani” – tutta tesa a rincorrere voti a centro, quel centro paludoso e ambiguo eppur (considerato) determinante a fini elettorali(!) ha fatto sì che operai, lavoratori, casalinghe, studenti, non trovassero un punto di riferimento stabile e sicuro in una sinistra di per se stessa instabile e insicura. Non trovassero sponda di rappresentanza politica diretta e direttamente impegnata nella tutela delle istanze sociali ad essi proprie. Più in generale, il costante lavorio antisociale del centrosinistra ormai già storico, dagli anni dei suoi governi sino ad oggi, nell’ora del ritorno a formale opposizione, quel lavorio di “compatibilizzazione” dei conflitti sociali nell’ordine di mediazioni tra le parti sempre più favorevoli alla proprietà di Capitale, quel lavorio di dissipamento, per esigenze di classi dominanti e di mercato, del grande patrimonio di lotte e di conquiste conseguite con anni di dure mobilitazioni popolari, quel lavorio di detonazione del potenziale esplosivo di ulteriori conflitti sociali utilizzando il Sindacato confederale come sorta di “cinghia di trasmissione all’incontrario” in funzione pacificatrice, ha modificato la ragione sociale stessa di quella compagine politica che, seppur nella sua denominazione “di sinistra”, si è resa pienamente organica al blocco della borghesia, corrompendo e confondendo ulteriormente masse politicamente sempre più distanti ed incerte e, quindi, sempre più preda della demagogia populista delle destre.
Oggi, in un quadro politicamente desolante, dato anche da “ridefinizioni” geopolitiche operate ad esclusivo appannaggio degli interessi di casta delle burocrazie dei partiti, non possiamo non porre, a nostro avviso, il problema della mancata rappresentatività delle reali istanze di classe. Per noi, non certo astensionisti di principio, l'autonomia di classe, intesa appunto come autonomizzazione reale e in prospettiva delle sue istanze rivendicative e di rappresentanza diretta, si è presentato e imposto come un ineliminabile passaggio strategico di fase, misura della (ri)organizzazione del conflitto. Una necessità oggettiva. Un'urgenza. Al fine di ricontrattare i termini di una battaglia generale e da generalizzare in progressione che non può esser ricondotta al gioco di contrappesi e rimpiattini così propri agli scranni in Parlamento. Oggi a maggior ragione. A fronte dell’inesistenza parlamentare di qualsivoglia tipo di “sinistra”.

Nella dialettica ben perben dell’alternanza borghese di governo scatta, infatti, il gioco delle parti: c’è chi, erigendo la sua mediocrità a sua grandezza, con una campagna mediatica massiccia violenta ed offensiva, ha recuperato la “leva di comando” imponendo distacco di 9 punti almeno sui principali inseguitori e chi, incapace di interpretare ed incentrare la campagna elettorale sui problemi reali della gente e rassegnandosi, invece, ad inseguire l’avversario(?) sul suo stesso terreno di spettacolarizzazione e di menzogna, glie l’ha permesso.

E così il PDL, al carro (carroccio?) della Lega, vince e poi stravince: percentuali bulgare in Veneto, pesantissime adesioni in Lombardia, forte affermazione persino nel Piemonte provinciale, cioè quanto di più lontano esista dal “berlusconismo” cialtrone e bugiardo. Sorpresa? Delusione forse, ma non sorpresa. Del resto tale e sempre tale è stata la scelta che si rinnova ogni qualvolta sono in gioco gli interessi, i privilegi, i soldi dell’Italia borghese. Un voto conservatore, più provinciale che metropolitano, con aspetti storicamente diversi: un tempo liberale, poi fascista, clericale, manageriale o finanziario ma sempre nello stesso segno d’immutabile obiettivo, dato dalla difesa parassitaria delle rendite dei ricchi e dall’inganno costante (falsa coscienza) di chi è povero eppur si sente ricco o vorrebbe esserlo e, magari, si compiace del padrone in quanto tale. Proprio così, quello stesso voto che negli anni Venti preferì il Fascismo alla Democrazia, quello che dagli anni Quaranta in poi si rifugiò sotto la scudocrociato democristiano, quello storicamente contrario all’emancipazione dei lavoratori poiché storicamente “terrorizzato” dal Comunismo. Sorpresa, dunque? Sorpresa solo per coloro che “ancora” si sorprendono dello scoprire una borghesia nazionale sempre uguale a se stessa, di un’Italia dalla “zona grigia” poiché memore della rivelazione della pochezza della sua classe dominante, o per coloro che riscoprono oggi l’urgenza di conservazione d’un Paese, quello reale, progressivamente più povero e desiderante, che si aggrappa a ciò che ha e sente il suo benessere, seppur fittizio e falso, minacciato da qualsivoglia trasformazione radicale, giacché da anni eroso da politiche di “sacrifici necessari”. Sorpresa, in definitiva, solo per coloro che, per miopia o tacito consenso, non hanno voluto o non hanno saputo cogliere il carattere strumentale di un sistema elettorale fermo al ritorno ad un proporzionale partitocratico drogato da liste bloccate da candidati forti già matematicamente eletti e restanti riempilista, che ha reso impossibile una campagna elettorale con e tra le masse, per la gente, nei quartieri, surrogando, invece, agli elettori in carne ed ossa, mere cifre matematiche, valori numerici di percentuali date in sé o indici d’ascolto TV ad esclusivo uso, consumo e abuso del protagonismo salottiero di politicanti di professione. Signori e signorotti che hanno fatto della politica un lavoro, fuori e contro la politica del Lavoro.

Dopo due anni di Governo Prodi e il suo fallimento misero e annunciato, dopo la colpevole subalternità della "sinistra radicale" di governo ed il fallimento di qualsivoglia ipotesi riformista, dopo le sottili e sottese "larghe intese" tra i partiti maggiori, dopo la riabilitazione dei rigurgiti fascisti che trovano oggi nuova "agibilità democratica" in beffa ai reali movimenti di lotta colpiti dalla pesante repressione dello Stato (dalle condanne per i fatti di Genova 2001, in occasione del vertice del G8, a quelle di Firenze 1999 per le mobilitazioni contro la guerra in Jugoslavia, da quelle per i fatti di Napoli 2001 per il Global Forum alle sempre più frequenti carcerazioni preventive e cautelari come quella, esemplare, inflitta a Mek, Michele Fabiani, nostro amico e poi compagno) dopo il più complessivo restringimento degli spazi di agibilità democratica e sindacale, il quadro istituzionale risulta avvelenato e impraticabile più che mai.
Persino i tentativi di "promozione identitaria" posti in essere dalle formazioni a sinistra dell'Arcobaleno, com’era prevedibile, sono risultati più testimoniali che non altro, astrattamente collocati e, in definitiva, insufficienti, nella misura in cui non collegati ad un reale processo di ricomposizione unitaria tanto delle soggettività di classe, sì come determinate dalla nuova divisione internazionale del Lavoro, quanto delle avanguardie di lotta e di lavoro, proprio perché ad esse tendenzialmente estranee, dato il mancato lavoro di preliminare costruzione di un significativo impianto di classe, radicamento sociale, pubblica riconoscibilità.

La nostra distanza, dunque, dal quadro delle presunte "rappresentanze" che si sono oggi candidate alla guida del Paese è massima, come massima è la repulsione oggi per ogni ipotesi di rappresentanza per delega degli interessi di classe. A chi ci dice: "non schierandovi con la sinistra – genericamente intesa – avete contribuito al ritorno di Berlusconi", rispondiamo fin d'ora che solo il recupero di pratiche di reale autorganizzazione sociale, la determinazione di istituti di autocontrollo popolare (dai comitati di scopo alle più generali e organizzate consulte), la liberazione di spazi sottratti alle logiche stesse della disciplina sociale capitalista, rappresenta la base concreta per opporre alla destre un'Alternativa di Sistema e di Potere.
Bieca propaganda? Mere dichiarazioni d'intenti? Retoriche petizioni di principio? No di certo! Pratica costante, invece e seppur nei limiti iscritti nella nostra stessa categoria del possibile, di un modello di società alternativa, rifondata sul rigetto della spirale produzione-consumo, da fondarsi fuori e contro le "compatibilità politiche" di una democrazia malata e terminale.

Non lasceremo certo a chi ha fatto delle sue contraddizioni la norma generale del suo stesso sistema politico, di produzione e riproduzione sociale, puntare il dito contro le scelte di coraggio e di fermezza, di orgoglio e dignità, di radicalità praticata e militante, di ha rimesso la delega alla Lotta! Nostra convinzione resta che “il moderatismo” (o una rappresentanza politica fosse stata pure per "men peggio"!) sia oggi un lusso che possa permettersi solo chi ha, di fatto, le spalle parate…

Come Collettivi Politici MILITANZ per l'Autorganizzazione sociale altro non facciamo che confermare il nostro impegno per l'intensificazione del conflitto di contro gli interessi classisti di classi dominanti e mercato sì come rappresentati, come fronde fintamente contrapposte, tanto dal PDL che dal PD ed a prescindere dall’esito elettorale ultimo.
Altro non abbiamo fatto che rigettare tanto gli appelli falsamente unitari e presunti "voti utili"(?), quanto i tentativi, più o meno identitari e seppur legittimi, di tentata "compresenza" nell'alveo della democrazia formale, parlamentarista e borghese.
Altro non continueremo a fare che lavorare alla generalizzazione della lotta contro i meccanismi stessi dell’attuale produzione e riproduzione sociale, le loro proiezioni ideologiche e sovrastrutturali, le loro manifestazioni politiche e partitiche.
Pur non rimuovendo affatto la "questione della rappresentanza" che, a nostro avviso, necessita di ulteriori e più approfonditi momenti di scomposizione e ricomposizione determinati nel vivo delle contraddizioni reali e delle lotte, ci dichiariamo, oggi, fuori da ogni "cartello d'artifizio" sì come proprio ad operazioni di mera "ingegneria politica istituzionale".

Lo scorso 13-14 aprile 2008, MILITANZ non ha sostenuto alcuna lista. Non ha dato indicazione di voto alcuna, dunque. Nella convinzione che qualsiasi fosse stato il governo eletto dalle urne della tornata appena scorsa non sarebbe stato il "nostro" governo, giacché non sarebbe stato affatto un governo dei lavoratori né, tanto meno, per i lavoratori. Esattamente quanto accaduto, con la pesante “svolta” a destra ed un'“opposizione”(?) in parlamento che certo di sinistra non sarà poiché già allo stato non lo è.
Resta, invece, la piena nostra disponibilità ad alleanze tattiche e di fase e, ancor meglio, alla costruzione di ampi fronti e patti unitari tematici con chi è intenzionato, con noi e come noi, a lavorare per potenziare il conflitto di classe, promuoverlo laddove sconta difficoltà organizzative, renderlo anima e motivazione portante della ricostruzione di un blocco autonomo di classe che, direttamente, rappresenti le sue istanze e convinzioni.

In conclusione, non sono state né saranno le elezioni, a nostro avviso, il terreno principale ed immediato dell'intervento politico a noi proprio, per cui fermo resta il nostro augurio che invece di gridare allo scandalo di un mancato blocco elettorale o una preferenza non espressa in questa fase, ci si concentri per il rafforzamento di posizioni apertamente rivoluzionarie da dispiegare nella pratica delle lotte che già ci attendono.
È sul terreno delle lotte e non su quello elettorale, dunque, che bisogna far convergere la sinistra vera, quella di classe e combattiva. E così renderla autonoma ed autorganizzata.
Nostro compito crediamo sia non certo quello di limitarsi all'agitazione sul terreno strettamente sindacale o trade-unionista, men che meno alla sola propaganda di intenti e di principi. Nostro compito, compito dei comunisti in questa fase storica, è e resta quello di approfittare delle faville di coscienza politica accese nelle masse dalla lotta economica corrente per trasformare dette faville in coscienza politica rivoluzionaria.
La via della Lotta, dunque, l'unica che paghi. Certo la più difficile, eppure, ad oggi, l'unica percorribile.